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View Full Version : Italiani in Iraq: testionianza di Peroncini


madaboutpc
27-11-2005, 17:29
Gianfranco Peroncini, nato a Milano nel 1955, giornalista professionista e fotografo, è laureato in Scienze politiche e geografia. Inviato speciale ai quattro angoli del mondo è autore di saggi storici, guide geografiche e volumi illustrati. Nei quadri della Riserva selezionata, bacino all’interno delle Forze di completamento da cui l’Esercito attinge professionalità di particolare interesse, ricopre il grado di maggiore.
Da maggio a settembre 2004 ha partecipato, in qualità di addetto stampa della cellula Pubblica Informazione, alla missione “Antica Babilonia 4”. Da aprile a giugno 2005 è stato inserito, come media ops, nella cellula Ops support, della missione “Antica Babilonia 7”.
Antica Babilonia 4. L’Esercito italiano in Iraq è il suo trentottesimo libro.

...Li ho conosciuti bene, i nostri militari impegnati in Iraq. Sono stato con loro a sudare sotto il sole per l’inaugurazione di una scuola tirata su dalle fondamenta, per una distribuzione di viveri o di medicinali, per controllare i lavori di costruzione di un padiglione sanitario oppure per organizzare un convoglio di autocisterne di carburante. Ho diviso con loro l’acqua e la fatica, soddisfazioni e muscoli doloranti, disagi e risate. Tensioni, paure, euforia e ansietà. Sono stato con loro sotto il fuoco. Ho visto i loro volti sotto un pesante velo di sudore, ho scorto nei loro occhi l’imbarazzo per una stanchezza che non riuscivano a dissimulare, la soddisfazione per l’opera compiuta e la preoccupazione per le promesse da mantenere l’indomani. Storia di storie d’Italia, schegge di regioni, città e borghi. Arcobaleni territoriali diversi, orizzonti che sanno di mare o profumano di boschi e di montagne. Di città d’arte o di fatica e di emigrazione, uomini e donne di missione e della missione.

Chiudo gli occhi e li rivedo, sorridenti e rilassati oppure stretti nella morsa della fatica, arsi dal sole nel pesante cilicio del giubbotto antiproiettile. Irriconoscibili, se avvolti nelle lunghe sciarpe delle tempeste di sabbia. Oppure appagati – a volte basta così poco – per la dinoccolata camminata sui sassi che finalmente, alla luce della luna, conduceva alle docce. Guastatori che sistemano le strade, paracadutisti che costruiscono padiglioni per gli ustionati, cavalieri che distribuiscono cibo e potabilizzatori, carristi che portano acqua e medicinali, carabinieri che insegnano libertà e ordine pubblico per dimenticare i metodi della polizia segreta di Saddam.

Vorrei riferire, qui, quello che stava dietro, e prima, degli sguardi stanchi dei ragazzi del Genio che tornavano a sera da un villaggio a nord della provincia dopo avere lavorato tutto il giorno per mettere in funzione un potabilizzatore a energia solare. O dei volti impolverati dei lagunari che tornavano da un pattugliamento in zone “difficili” ma dove la popolazione chiede aiuto per poter sognare un domani diverso, senza odio, senza esplosioni di granate controcarro, senza il miagolare maligno dei proiettili. Vorrei provare a descrivere la giornata dei carabinieri che controllano, oggi insieme alla polizia locale, i quartieri di Nassiriya o le lunghi notti degli squadroni delle blindo “Centauro” a sorvegliare le autostrade dei vitali rifornimenti per una provincia e una nazione in ginocchio. Oppure trattare le attività degli uomini della cooperazione civile e militare che battono instancabili le piste della regione per portare aiuti umanitari, stilare progetti di ospedali, scuole, magazzini sanitari. Per poi costruirli, mattone su mattone, con aziende e mano d’opera irachene.

Per essere completo non mi basterebbero lo spazio e nemmeno le parole, in immagini o altro. Mi limito a un abbozzo, uno schizzo del quadro intero. Ma posso affermare una cosa per certo. Delle donne e degli uomini dei nostri reparti, lagunari, cavalieri, genieri, paracadutisti, carabinieri, carristi, bersaglieri, piloti e specialisti vari, del loro impegno, della loro fatica e della loro dedizione, l’Italia può andare fiera.

A memoria
L’alito caldo della mattina si è fatto rovente. Gli occhi si socchiudono, i lineamenti del volto si fanno più tesi. Le labbra si stirano sui denti nell’ingannevole sorriso della fatica. Tutti lavorano, pochi parlano. Nessuno si lamenta. Da qualche parte, nel deserto della provincia di Dhi Qar, Iraq meridionale va in scena un’altra giornata del contingente italiano impegnato nell’operazione di peace keeping “Antica Babilonia”. Una distribuzione di aiuti umanitari in un villaggio in cui il mulino del tempo sembra avere sospeso il moto perpetuo delle sue pale, un momento importante per una popolazione martoriata da anni. È una giornata che non entrerà nelle cronache ma che disegna il quadro quotidiano della missione.
Negli occhi e nella memoria scorrono rapide, insieme a quelle, altre immagini, altre fatiche, altre soddisfazioni, altri impegni, condivisi con uomini e donne dai volti diversi ma vestiti dalla stessa uniforme, impolverata, stinta dal sole, segnata da un reticolo di sottili croste biancastre di sale traspirato e da un piccolo tricolore sulla spalla sinistra.

Nel flashback passano i gesti di un passamano che univa volontari, caporali, capitani, maggiori e tenenti colonnelli nella fretta di scaricare scatoloni di materiale sanitario all’ospedale generale di Nassiriya, quello stesso da dove alcuni cecchini avevano sparato sulla sede della Coalition provisional authority nei giorni degli scontri che avrebbero portato alla morte di Matteo Vanzan, lagunare caduto in terra straniera, dilaniato dalle schegge di una bomba di mortaio. Ci pensiamo, mentre scarichiamo in silenzio antibiotici e analgesici in una struttura le cui sale operatorie stringono il cuore e le budella.
Tra i grandi colli di cartone, anche un paio più piccoli, in contenitori refrigerati. È la fornitura, per un anno e mezzo, di siero antiscorpione e antivipera, assai difficili da reperire. Qualche giorno dopo, alcune di quelle fiale serviranno a salvare due bambini. Quando la cellula della pubblica informazione diffonderà il comunicato con la notizia, per una manciata d’istanti cammineremo a un palmo dal suolo nella fornace rovente che ci ospita.
Rivedo anche lo sguardo di gioia incredula di quel ragazzo paraplegico cui abbiamo sostituito l’artigianale e sgangherata sedia a rotelle nel centro messo a disposizione da una delle donne più coraggiose di tutto l’Iraq, Widad Kareem Abdul Rahman, presidente dell’Iraqi Women Association, un progetto, senza connotazioni di carattere politico che intende promuovere i diritti umani, il miglioramento del ruolo della donna e il sostegno alle iniziative femminili.

Quel giorno una trentina di civili iracheni, uomini, donne e bambini, sono stati visitati da un’équipe sanitaria del Role 2, l’ospedale militare della base italiana di Camp Mittica a Tallil, periferia di Nassiriya. Insieme ai tre medici militari, anche tre infermieri e quattro volontarie della Croce Rossa. Una giornata significativa, sul piano professionale ed emotivo, anche perché tutti gli iracheni, uomini e donne, si mostravano cordiali e ricettivi. «Un’attività necessaria, per loro ma anche per noi», mi spiegò il tenente colonnello Roberto Elisei, direttore sanitario del campo e specialista di medicina interna e di otorinolaringoiatria. «Tutto il personale ha già partecipato a numerose missioni all’estero dove capisci come il contatto con la popolazione diventa una delle esperienze più significative e formative e ci fa sentire più utili». Un’altra giornata “normale”. Senza storia. Destinata a riproporsi ogni settimana. Non ne faranno un film per tv, non se ne parlerà per le strade.

Nel villaggio, intanto, la distribuzione continua. Anche le donne, nei loro grandi mantelli neri, si dispongono in fila per ricevere gli aiuti che arrivano da lontano. Sembrano le ombre di un quadro onirico, surreale, con quelle stoffe scure svolazzanti nel vento, burka che disegnano e nascondono, accarezzano e sottraggono. Sotto il pesante carapace del giubbotto antiproiettile si suda a profusione. Quando torneremo giacche e magliette saranno intrise di tensione e disagio. Prima ci aspetta un lungo viaggio di ritorno, la stanchezza e il torpore da combattere, una soglia di attenzione che non deve calare mai. Ci aggiustiamo nello spazio angusto dei veicoli, schiena contro schiena, a cercare un punto di appoggio, quello di un amico. Passa l’ultima bottiglia d’acqua. È ancora tiepida, ce la gustiamo.
Finalmente la grande nuvola di polvere alzata dalla testa del convoglio, a segnalare lo sterrato che conduce al campo di Tallil. Il sole disegna ora sul terreno lunghe ombre oblique, i colori sono più caldi e intensi, la temperatura si è fatta quasi accettabile. Si scarica l’equipaggiamento, si stilano i rapporti, si prepara la giornata di domani.

Questioni di caldo
L’attenzione, la cura, la propensione a intervenire hanno raggiunto una soglia che non si è mai abbassata per tutti i mesi di “Antica Babilonia”, rivestendosi di aspetti diversi, tutti focalizzati sull’obiettivo di ridare normalità, speranza e progresso all’Iraq. Con uno stile preciso: i nostri militari sono soldati di un esercito che cambia e che sa coniugare capacità operativa e di reazione con la dimensione umana. E tutto ciò si estende dall’ambito sanitario all’ambito scolastico, da quello addestrativo sino a quello archeologico.
Così è stato realizzato anche il nuovo magazzino farmaceutico, fatto sorgere dai nostri militari per il Dipartimento di sanità della provincia di Dhi Qar, sul territorio dell’area di responsabilità italiana, grazie a un investimento di oltre 55mila dollari. Il progetto ha previsto anche un’idonea impiantistica di refrigerazione ambientale per garantire ai farmaci immagazzinati di non perdere efficacia terapeutica. Lo studio previo è stato attento, dettagliato.

Il deposito coprirà le necessità di tutta la provincia, grazie a due camion refrigerati che consentiranno il trasporto e la distribuzione capillare dei farmaci in tutta la zona prevista, rispettando le norme di conservazione. Una questione decisiva in ambito sanitario, come mi raccontò l’ultimo responsabile dell’iniziativa, il capitano di fregata farmacista Alessandro Fontanelli di Reggio Calabria, 36 anni, sposato, con una figlia. «La conservazione idonea di farmaci particolarmente termolabili, come vaccini e sieri antiveleno, è stata infatti la molla che ha fatto partire il progetto in quanto un punto di situazione sanitario da noi realizzato aveva evidenziato una recrudescenza di patologie, anche in elementi precedentemente sottoposti a vaccinazione».
L’immunità ridotta era dovuta al fatto che i vaccini non erano stati conservati in maniera ottimale e si erano degradati a causa delle elevate temperature che si raggiungono puntualmente d’estate in queste zone. Così la copertura era stata gravemente compromessa. Il nuovo magazzino sarà in grado di ridurre al minimo l’incidenza di queste patologie “di ritorno”, consentendo anche uno stoccaggio più massiccio di sieri contro il morso delle vipere e degli scorpioni, problema sanitario significativo in questi scenari desertici.

I conti col passato
Ma l’impegno dei nostri militari va oltre, tocca i campi della cultura e della storia.
L’archeologia, il suo patrimonio e il suo significato sono nel cuore e nelle radici dell’Iraq, crocevia del Medioriente e della storia dell’uomo, e assumono i connotati di una risorsa fondamentale nel futuro sviluppo iracheno. Possono e probabilmente devono essere una delle chiavi della rinascita economica e sociale post Saddam Hussein. Il compito di monitorare e preservare questo eccezionale giacimento culturale nell’area di responsabilità italiana spetta ai carabinieri della Multinational specialized unit. In questo ambito di tutela dei beni ambientali iracheni, verso la fine di agosto 2004 il comandante della Msu, colonnello Claudio D’Angelo, ha consegnato al Sovrintendente dei Beni culturali e archeologici di Dhi Qar, dottor Abdulamir Hamdani, un’aggiornata carta archeologica della provincia, elaborata grazie alle indicazioni e alle ricognizioni effettuate dal personale dei carabinieri preposto alla tutela di quell’inestimabile patrimonio culturale e realizzata dagli specialisti dell’Istituto geografico militare.

Ringraziando il colonnello D’Angelo e i suoi uomini, il dottor Hamdani ha sottolineato l’importanza del lavoro compiuto dagli italiani. «Non disponevamo di alcuna mappatura dei 129 siti archeologici della nostra provincia» ha ricordato, «uno strumento indispensabile per il nostro lavoro. E anche un simbolo tangibile ed efficace della collaborazione che abbiamo instaurato con le forze italiane. Grazie all’azione congiunta realizzata con i carabinieri sono stati infatti recuperati migliaia di reperti archeologici oggi custoditi dal Museo nazionale dell’Iraq a Bagdad».
La nuova mappa riporta tutti i siti archeologici conosciuti della provincia di Dhi Qar, oltre a 69 di nuova rilevazione, con localizzazione cartografica e coordinate esatte. Un lavoro importante anche per le future attività di studio e di contrasto di possibili saccheggi, missione che comprende anche un’azione di repressione del mercato clandestino per colpire, oltre ai “tombaroli”, anche i ricettatori. L’attività svolta dal contingente italiano in quest’area del territorio geografico e culturale iracheno è importante, tanto più che questa è un’area straordinariamente significativa non solo per l’Iraq ma per tutto il patrimonio culturale mondiale: l’area mesopotamica ha visto gli albori della civiltà dell’uomo. Un retaggio dagli straordinari riflessi storici, sociali, psicologici ed economici che deve tornare, quanto prima, a disposizione del popolo iracheno.

Quello della tutela archeologica è uno dei tanti aspetti della cooperazione civile e militare in Iraq. A Nassiriya è una realtà che funziona, e bene, attraverso una rete di contatti, filiere, strutture e organizzazioni che dipana il filo della sua trama dall’Iraq meridionale sino in Italia. E ritorno.
Una mobilitazione spesso generosa e spontanea di intelligenze, emozioni, progetti: colonnelli e amministratori delegati, marescialli e operatori di organizzazioni non governative, civili e militari, uomini e donne, uniti nella volontà di ridare a un paese martoriato un futuro su cui articolare nuove certezze. Un percorso difficile, complesso e delicato che può passare anche attraverso i ricami e i disegni dell’ago di una macchina per cucire giunta dall’Italia.
è una storia, questa, che parte da lontano, da un contatto allacciato nel maggio scorso dal tenente colonnello Antonio Porrelli, comandante del “Cimic Centre - Iraq” che si occupa della cooperazione civile e militare organizzando gli aiuti umanitari e strutturali per la popolazione irachena, in collegamento quotidiano con le autorità locali. In Italia svolge servizio presso il Cimic Group South di Motta di Livenza. A Nassiriya il Cimic entra in contatto ogni giorno con le mille richieste delle ONG irachene, bisognose di tutto.

Quanto conta poter cucire
La mattina dell’8 maggio 2005 uno degli incontri aveva come interlocutori i responsabili della Deafs and Dumbs Association, una ONG che aiuta e sostiene 156 giovani sordomuti della provincia di Dhi Qar, 29 ragazze e 127 ragazzi. L’Associazione aveva bisogno di una decina di macchine da cucire per far frequentare alle ragazze dei corsi di cucito, al fine di avviarle nel mondo del lavoro con una professione sicura. Per questo si era rivolta alle strutture di Camp Mittica, la sede del contingente italiano a Nassiriya, che ospitava allora i militari italiani di ‘‘Antica Babilonia 7’’ agli ordini del generale di brigata Pietro Costantino, comandante della Brigata paracadutisti “Folgore” di Livorno, il nucleo portante di quella missione.
Subito dopo l’incontro era partito un piano d’azione per risolvere il problema in tempi brevi. In capo a un paio di giorni, giungeva una risposta dalla segreteria della direzione generale della Singer Italia. L’azienda, leader del mercato a livello internazionale, aveva a disposizione per l’immediato inoltro in Iraq 10 macchine per cucire modello Novella 3514 , di semplice utilizzo e in grado di garantire anche l’esecuzione di ricami mediante un ampio corredo accessorio fornito con il materiale.

E tutto a titolo gratuito per raggiungere lo scopo prefissato: «Poter far qualcosa per chi ne ha bisogno è bello e fa star bene. È molto vero quando si dice: “è più bello dare che ricevere” e voi date ogni giorno, senza aspettarvi nulla in cambio ma rimettendoci di vostro in tante occasioni e continuando sempre a testa alta la vostra missione», ci hanno scritto dall’Italia i responsabili della società. Un gesto di generosità e disponibilità, un contributo importante – nel suo ambito e nel suo significato – per il riscatto sociale ed economico di una popolazione provata dalle terribili vicende della cronaca recente. L’organizzazione per l’inoltro in Iraq degli 11 colli del materiale veniva subito attivata grazie al maresciallo Pietro La Marca del Reparto comando e supporti tattici della Brigata paracadutisti e all’Aeronautica militare, i cui velivoli alimentano il flusso dei rifornimenti necessari per la missione ‘‘Antica Babilonia’’. Una collaborazione che raggiungeva un ideale completamento a Nassiriya quando il colonnello pilota Antonio Albanese, comandante del 6° R.O.A. e responsabile del reparto aereo operativo a disposizione del contingente italiano, contribuiva all’iniziativa di sostegno all’Associazione Deafs and Dumbs fornendo 22 rotoli di stoffe.

Il 16 giugno, infine, i mille fili di tutta questa elaborata e complessa vicenda si riunivano e si ricucivano (è proprio il caso di dire) quando le macchine della Singer e le stoffe venivano consegnate nelle mani dei responsabili della Deafs and Dumbs e di una delegazione di ragazzi e ragazze dell’Associazione.
Un momento di grande gioia e di un pizzico di commozione, riassunto nelle parole del presidente dell’Associazione Fadir Hassan Ali al Khafaji che nel ringraziare gli italiani ci comunicava, col linguaggio gestuale dei sordomuti, che anche questa cerimonia era stata un’occasione per dimostrare come le relazioni tra il popolo iracheno e quello italiano fossero proficue e intense. «Mi auguro» concluse «che tali rapporti possano continuare per sempre».
E così entrava negli archivi un’altra giornata di missione italiana a Nassiriya, un intreccio di umanità, collaborazione e sensibilità da parte di molti uomini e donne di buona volontà. Una giornata senza clamori e senza telegiornali. Ma con la convinzione di avere onorato, nella solidarietà e nell’amicizia, la giornata regalata a tutti gli uomini dal Dio dei cristiani come dei musulmani. Unico, onnipotente, clemente e misericordioso...