Dona*
24-11-2005, 09:59
Riporto in questa pagina un interessante articolo, dal Corriere della Sera di oggi.
Pur non condividendo spesso le opinioni dell'autore (specialmente quando esce fuori dal seminato, vagando per campi che non gli sono propri), stavolta mi sembra che abbia fatto un'analisi piuttosto lucida.
Rialzo dei tassi e conseguenze per l’Italia
IL PREZZO DI UNA SVOLTA
di FRANCESCO GIAVAZZI
E’ ormai pressoché certo che la prossima settimana la Banca Centrale Europea alzerà i tassi di interesse. Non accadeva da 30 mesi, un lunghissimo periodo durante il quale i tassi europei sono rimasti fermi al 2 per cento. Per capire quali saranno le conseguenze è utile partire da ciò che sta accadendo negli Stati Uniti. L’aumento del prezzo del petrolio ha spinto l’inflazione americana dal 2 al 4,3 per cento.
I successivi interventi della Fed, che ha iniziato ad alzare i tassi di interesse oltre un anno fa, hanno tuttavia impedito che l’aumento dei prezzi si trasferisse ai salari, i quali continuano a crescere al 2 per cento. In altre parole, i salari reali orari negli Stati Uniti perdono un po’ più del 2 per cento l’anno. Ma non i redditi delle famiglie: in quel Paese straordinario i lavoratori reagiscono al taglio nei salari orari semplicemente lavorando più ore, in modo da mantenere invariato il reddito totale della famiglia. Più ore a salari reali ridotti è il modo in cui gli americani pagano la «tassa del petrolio», cioè trasferiscono una parte del loro reddito agli sceicchi. E così la Fed riesce ad impedire che si inneschi una rincorsa tra salari e prezzi, senza che ciò comporti una riduzione dei consumi e quindi della crescita.
La Banca Centrale Europea si propone ora di ripetere quanto sta accadendo Oltreoceano. Il suo presidente, Jean-Claude Trichet, ha fatto capire che la Banca è disposta a consentire che, per effetto del petrolio, l’inflazione superi temporaneamente l’obiettivo del 2 per cento, a patto però che la crescita dei salari rimanga sotto quella soglia. Ma le analogie tra Europa e Stati Uniti si fermano qui.
Il mercato del lavoro europeo è diverso da quello americano: per indurre gli europei a lavorare di più a un salario reale ridotto saranno necessari un brusco rallentamento dell’economia e un ulteriore aumento della disoccupazione.
Insomma, nonostante il tentativo di Trichet di rassicurare i governi europei, quello della prossima settimana sarà solo il primo di una serie di aumenti dei tassi. L’effetto probabile sarà un rapido rafforzamento dell’euro sul dollaro. Che il dollaro prima o poi si svaluti per chiudere l’enorme deficit estero degli Stati Uniti è inevitabile. La mossa della Bce avvicina quel momento, con buona pace dei timidi segni di ripresa dell’economia europea.
A Francoforte pensano che, di fronte a una politica monetaria rigorosa, ci convinceremo che è l’ora di cambiare le regole del nostro mercato del lavoro. Può darsi, ma secondo me è una scommessa rischiosa: ciò che temo accadrà sarà un euro molto più forte, meno esportazioni e meno crescita. E per l’Italia, che diversamente dal resto d’Europa si porta appresso una quantità straordinaria di debito pubblico, interessi più cari.
Si avvicinano le elezioni, ed è il momento dei programmi e delle proposte concrete. Comincio con due domande: 1) quale voce del bilancio dello Stato verrà modificata per pagare i maggiori interessi sul debito? Ricordo che con un rapporto tra debito e Pil del 106 per cento un aumento di un punto dei tassi costa allo Stato, dopo qualche anno, un punto di Pil. 2) Un anno fa, quando il cambio euro/dollaro toccò l’1,34, molte aziende dissero che avevano raggiunto il punto oltre il quale avrebbero cominciato a perdere e quindi sarebbero state costrette a chiudere. Di fronte ad un cambio euro/dollaro che potrebbe presto salire fino a 1,5 che prospettive offre alle imprese chi chiede voti per governare?
Pur non condividendo spesso le opinioni dell'autore (specialmente quando esce fuori dal seminato, vagando per campi che non gli sono propri), stavolta mi sembra che abbia fatto un'analisi piuttosto lucida.
Rialzo dei tassi e conseguenze per l’Italia
IL PREZZO DI UNA SVOLTA
di FRANCESCO GIAVAZZI
E’ ormai pressoché certo che la prossima settimana la Banca Centrale Europea alzerà i tassi di interesse. Non accadeva da 30 mesi, un lunghissimo periodo durante il quale i tassi europei sono rimasti fermi al 2 per cento. Per capire quali saranno le conseguenze è utile partire da ciò che sta accadendo negli Stati Uniti. L’aumento del prezzo del petrolio ha spinto l’inflazione americana dal 2 al 4,3 per cento.
I successivi interventi della Fed, che ha iniziato ad alzare i tassi di interesse oltre un anno fa, hanno tuttavia impedito che l’aumento dei prezzi si trasferisse ai salari, i quali continuano a crescere al 2 per cento. In altre parole, i salari reali orari negli Stati Uniti perdono un po’ più del 2 per cento l’anno. Ma non i redditi delle famiglie: in quel Paese straordinario i lavoratori reagiscono al taglio nei salari orari semplicemente lavorando più ore, in modo da mantenere invariato il reddito totale della famiglia. Più ore a salari reali ridotti è il modo in cui gli americani pagano la «tassa del petrolio», cioè trasferiscono una parte del loro reddito agli sceicchi. E così la Fed riesce ad impedire che si inneschi una rincorsa tra salari e prezzi, senza che ciò comporti una riduzione dei consumi e quindi della crescita.
La Banca Centrale Europea si propone ora di ripetere quanto sta accadendo Oltreoceano. Il suo presidente, Jean-Claude Trichet, ha fatto capire che la Banca è disposta a consentire che, per effetto del petrolio, l’inflazione superi temporaneamente l’obiettivo del 2 per cento, a patto però che la crescita dei salari rimanga sotto quella soglia. Ma le analogie tra Europa e Stati Uniti si fermano qui.
Il mercato del lavoro europeo è diverso da quello americano: per indurre gli europei a lavorare di più a un salario reale ridotto saranno necessari un brusco rallentamento dell’economia e un ulteriore aumento della disoccupazione.
Insomma, nonostante il tentativo di Trichet di rassicurare i governi europei, quello della prossima settimana sarà solo il primo di una serie di aumenti dei tassi. L’effetto probabile sarà un rapido rafforzamento dell’euro sul dollaro. Che il dollaro prima o poi si svaluti per chiudere l’enorme deficit estero degli Stati Uniti è inevitabile. La mossa della Bce avvicina quel momento, con buona pace dei timidi segni di ripresa dell’economia europea.
A Francoforte pensano che, di fronte a una politica monetaria rigorosa, ci convinceremo che è l’ora di cambiare le regole del nostro mercato del lavoro. Può darsi, ma secondo me è una scommessa rischiosa: ciò che temo accadrà sarà un euro molto più forte, meno esportazioni e meno crescita. E per l’Italia, che diversamente dal resto d’Europa si porta appresso una quantità straordinaria di debito pubblico, interessi più cari.
Si avvicinano le elezioni, ed è il momento dei programmi e delle proposte concrete. Comincio con due domande: 1) quale voce del bilancio dello Stato verrà modificata per pagare i maggiori interessi sul debito? Ricordo che con un rapporto tra debito e Pil del 106 per cento un aumento di un punto dei tassi costa allo Stato, dopo qualche anno, un punto di Pil. 2) Un anno fa, quando il cambio euro/dollaro toccò l’1,34, molte aziende dissero che avevano raggiunto il punto oltre il quale avrebbero cominciato a perdere e quindi sarebbero state costrette a chiudere. Di fronte ad un cambio euro/dollaro che potrebbe presto salire fino a 1,5 che prospettive offre alle imprese chi chiede voti per governare?