View Full Version : Kenia e nuova costituzione
Avvenire 29 ottobre 2005 19.26
KUSUMU
KENYA: TUMULTI PER NUOVA COSTITUZIONE, 3 MORTI E DECINE FERITI
Almeno tre persone sono rimaste uccise e svariate decine di altre ferite in seguito a violentisismi disordini scoppiati a Kisumu, città del Kenya occidentale situata a circa 350 chilometri da Nairobi sulle rive del lago Vittoria, allorchè le forze anti-sommossa sono intervenute in massa per fermare centinia di giovani che tentavano d'impedire un comizio allestito da quattro ministri a sostegno della nuova Costituzione nazionare, che sarà sottoposta a referendum popolare il 21 novembre prossimo.
Per fermare i dimostranti gli agenti non hanno esitato a sparare sulla folla. Lo hanno denunciato fonti ospedaliere, secondo cui una delle vittime era uno scolaro di appena 8 anni, l'altra un adolescente; entrambi sono stati crivellati di proiettili. La riforma costituzionale, la prima di effettivo spessore fin da quando il Kenya cosnquistò l'indipendenza dalla Gran Bretagna nel '63, ha visto il presidente Mwai Kibaki duramente contrastato da gran parte del governo; i critici sostengono infatti che le modifiche normative sono solo apparenti, e lasciano troppi poteri concentrati nella mani del capo dello Stato. La campagna referendaria ha già provocato numerosi disordini, dall'esito anche sanguinoso.
KENIA 5/11/2005 15.47
REFERENDUM: CHIESA CHIEDE A PRESIDENTE RUOLO SUPER-PARTES
La Chiesa cattolica keniana ha sollecitato il presidente Mwai Kibaki a tenersi fuori dalla campagna referendaria e lasciare che siano i cittadini a prendere decisioni indipendenti sulla nuova proposta di Costituzione sottoposta al vaglio dell’elettorato il prossimo 21 novembre. Al termine di un incontro a Nakuru presieduto dal vescovo monsignor Peter Kairo, la Commissione giustizia e pace della Chiesa ha chiesto al capo di Stato di “restare distante dalle liti e dalle politiche partigiane, diventando fattore di unificazione”. L’organismo ecclesiastico ha poi condannato le violenze in campagna elettorale tra sostenitori del ‘si’ e del ‘no’, sostenendo che “la battaglia per una nuova costituzione si è ridotta a un circo di tipo etnico e politico”. Ha inoltre criticato il modo in cui i politici utilizzano le già scarse risorse finanziarie per farsi propaganda a spese dello sviluppo della nazione, “che diventa sempre più povera e più divisa”. “Il Kenya appartiene a tutti – hanno concluso i componenti della Commissione – e spetta a tutti prendersi la responsabilità di salvaguardarlo”. Nei giorni scorsi l’arcivescovo di Nairobi Ndingi Mwana a’Nzeki e il vescovo presbiteriano revendo Lawi Imathiu avevano esortato i politici a scongiurare altre violenze durante la campagna per il referendum, momento culminante di un percorso iniziato l’anno scorso con la diffusione di una prima bozza della carta (Boma draft) che limitava i poteri del presidente, e proseguito con un nuovo testo (Kilifi draft) che invece ne ripristinava sostanzialmente le facoltà. La revisione era stata promessa dall’attuale presidente Mwai Kibaki, deciso a usare la nuova costituzione per ridurre i propri poteri e delegare una parte dei suoi compiti a un primo ministro, ma una parte dei keniani lo ha accusato di aver dimenticato le promesse fatte
KENIA 16/11/2005 6.41
REFERENDUM COSTITUZIONALE, ALTA CORTE BOCCIA RINVIO
(Misna) Si farà il controverso referendum del 21 novembre sulla nuova proposta di Costituzione: lo ha deciso l’Alta Corte del Kenya, respingendo l’istanza presentata dal cosiddetto ‘movimento giallo’ della società civile, che ne aveva chiesto il rinvio accusando il governo di non aver seguito la procedura corretta per la riforma della Carta. Da mesi lo scontro tra favorevoli e contrari al nuovo testo – divisi in due schieramenti che si sono autodefiniti in base al colore giallo e arancione - si è fatto particolarmente teso e nei giorni scorsi una manifestazione promossa dal fronte del ‘no’ è stata repressa con violenza dalla polizia a Mombasa, che ha provocato almeno 4 morti. Secondo i tre giudici della Corte Costituzionale, il rinvio della consultazione sarebbe contrario al pubblico interesse e ingiusto. Fonti locali riferiscono che centinaia di persone hanno atteso la sentenza in risposta a una richiesta presentata dal ‘movimento giallo’ alcuni mesi fa. Tra i favorevoli al referendum vi è il presidente Mwai Kibaki, mentre tra alcuni ministri sono contrari; più che di una revisione, si tratta in realtà della prima Costituzione dall’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1963. Nei giorni scorsi la Commissione giustizia e pace della Chiesa keniana, condannando le violenze in campagna elettorale tra sostenitori del ‘si’ e del ‘no’, aveva affermato che “la battaglia per una nuova costituzione si è ridotta a un circo di tipo etnico e politico”.
REFERENDUM SUL FUTURO
Il Kenya ha detto no alle riforme
Ora il presidente è più «debole»
Le variazioni intendevano portare migliorie a un testo redatto all'indomani dell'Indipendenza e che aveva portato a una sorta di «regno» autocratico In discussione anche la riforma agraria e numerosi temi sociali
Di Daniele Zappalà
Pacificamente e in modo schiacciante, i keniani hanno detto «no» al progetto di riforma costituzionale promosso dal presidente Mwai Kibaki, l'uomo divenuto nel 2002 con la "Coalizione arcobaleno" il simbolo dell'alternanza dopo decenni di governi monocolore. «Il mio governo rispetterà il volere della gente», ha assicurato ieri Kibaki in un discorso diffuso da radio e televisione dopo che la commissione elettorale aveva ufficializzato il fragoroso rigetto popolare della nuova bozza. Un testo che avrebbe creato un premier in posizione subalterna rispetto al presidente, apportando al contempo revisioni al sistema agrario ed elettorale locale, così come sui temi della famiglia e dell'aborto. Già ieri mattina, a spoglio non ancora ultimato, lo scarto fra i «no» e i «sì» era incolmabile: quasi 3,5 milioni (58%) contro neppure 2,5 milioni (42%) di suffragi favorevoli. La partecipazione ha raggiunto il 57% e non ci sono stati margini per contestazioni o accuse di brogli. Tanto che Kibaki ha incassato la batosta commentando al contempo positivamente e con fair play lo svolgimento pacifico del voto (dopo gli 8 morti in periodo di campagna elettorale): «Questo è un grande passo per la democrazia nel nostro Paese». Nelle stesse ore, con parole simili ma col volto radioso, il ministro della Rete stradale Raila Odinga salutava i «giorni storici» vissuti dal Kenya. Il presidente aveva già escluso l'ipotesi di dimissioni in caso di sconfitta. Ma il costo politico del naufragio si annuncia comunque pesante. Dopo aver subito nel corso della campagna l'opposizione attiva di ben 7 dei suoi stessi ministri, Kibaki sarà verosimilmente costretto a un rimpasto. Almeno se vorrà recuperare quota in vista delle Presidenziali del 2007. Nei mesi scorsi, l'opposizione ha accusato il presidente di aver tradito la promessa di delegare una parte dei suoi poteri al futuro premier. Una soluzione, quest'ultima, che secondo molti osservatori avrebbe agevolato anche la lotta contro una corruzione ancor a massiccia (144mo posto su 159 nell'ultima classifica dell'ong Transparency international). Forti critiche, su questo punto, continuano a giungere a Nairobi anche dai creditori e investitori internazionali. Così, il voto è stato perlopiù letto proprio come un chiaro avvertimento rivolto all'anziano presidente (74 anni). «Il popolo ha trionfato», ha dichiarato Uhuru Kenyatta, figlio del padre dell'Indipendenza e alla guida dell'Unione nazionale africana del Kenya (oggi principale partito d'opposizione dopo il lunghissimo "regno" incontrastato, soprattutto negli anni Ottanta come partito unico). Secondo i primi riscontri, il risultato si sarebbe deciso in buona parte per grandi raggruppamenti etnici. A pesare, certamente, anche l'insoddisfazione per la situazione economica ancora disastrosa di ampie fasce rurali e suburbane. I frutti simbolicamente associati sui bollettini al «sì» (banana) e al «no» (arancia) sono stati scelti dalla commissione elettorale per agevolare l'elettorato analfabeta. Ma in virtù di ciò, ieri, le manifestazioni di gioia del fronte del «no» per le strade di Nairobi hanno preso la stessa tonalità arancio della svolta in Ucraina. Vari appelli allo svolgimento pacifico dello scrutinio, fra cui quelli della Chiesa locale, avevano contrassegnato la vigilia del voto. Soprattutto nella giornata di sabato, poi, una serie di spettacoli pubblici all'insegna della musica e della danza ha ulteriormente alleggerito il clima di tensione vissuto invece durante la campagna. La prova finale di maturità dell'elettorato ha così corroborato la reputazione keniana di Paese in fase di forte consolidamento democratico nel quadro di un'Africa orientale e centrale attraversate invece da violentissime tensioni. Non a caso, Nairobi mantiene un ruolo chiave di mediazione nelle drammatiche crisi sudanese e somala, oltre che di partner privilegiato di Washington nella lotta internazionale al terrorismo.(Avvenire)
KENIA 23/11/2005 19.11
DOPO ESITO REFERENDUM, PRESIDENTE SCIOGLIE GOVERNO
Il presidente keniano Mway Kibaki ha provveduto allo scioglimento del governo, con effetto immediato. “A seguito del risultato referendario - ha detto oggi Kibaki –è ora necessario per me riorganizzare il governo, renderlo più coeso così da poter meglio servire il popolo keniano”. Kibaki ha precisato che entro due settimane verrà resa nota la nuova squadra di governo. La decisione di Kibaki ha sorpreso anche gli osservatori più attenti, che comunque ben sapevano quanto l’amministrazione in carica avesse scommesso sul referendum. Il voto - primo significativo tentativo di cambiare la costituzione dall’indipendenza del Kenya da Londra nel 1963 – ha spaccato in due la nazione, che nei mesi scorsi si è diviso tra chi ha scelto di sostenere Kibaki (che della nuova Carta è stato il principale fautore) e chi invece, inclusi alcuni ministri del govenro in carica, si è da subito opposto a una modifica definita “di facciata”. Secondo le indiscrezioni in circolazione, nelle prossime due settimane Kibaki potrebbe provvedere a un vasto rimaneggiamento del governo, dando nuovo lustro alla corrente interna che durante la campagna elettorale sosteneva il ‘no’ o addirittura aprendo all’opposizione in un governo di unità nazionale. Il percorso della nuova Carta costituzionale era iniziato l’anno scorso con la diffusione di una prima bozza (Boma draft) che limitava fortemente i poteri del capo di Stato ed era proseguito con un nuovo testo (Kilifi draft) che invece ne ripristinava sostanzialmente le facoltà. La revisione della costituzione era stato uno dei cavalli di battaglia dello stesso Kibaki durante la campagna elettorale che lo vide arrivare al potere nel 2002 rimpiazzando la vecchia amministrazione del presidente Daniel Arap Moi in sella da dieci anni. Una costituzione che, come Kibaki aveva più volte ripetuto quando era un semplice candidato, avrebbe dovuto contenere i poteri del presidente (evitando l’accentramento tipico dell’era Moi) creando la figura di un primo ministro dal forte mandato. Una volta alla guida del paese, però, Kibaki ha prima messo in un cassetto il progetto di una nuova costituzione e quando lo ha rispolverato lo ha fatto presentando un documento in cui la figura di un primo ministro è poco più che una formalità mentre i poteri del presidente si sono ulteriormente allargati. Modifiche che però non sono piaciute alla maggioranza dei keniani.
Referendum, una prova eccezionale di civiltà
Il Kenya insiste ed è sorpresa positiva
Giulio Albanese
Da tempi imme-morabili la parola Africa, nell'immaginario nostrano, evoca miserie, disgrazie e calamità varie. Eppure, a livello continentale, vi sono alcuni segnali di rinnovamento che, a medio e lungo termine, fanno ben sperare nonostante la difficile congiuntura internazionale.
In Kenya, ad esempio, lunedì scorso si e' svolto un referendum costituzionale il quale ha rappresentato, nonostante l'allarmismo della vigila, una straordinaria prova di civiltà da parte della popolazione autoctona. Anzitutto non vi sono stati disordini e violenze, e la stragrande maggioranza degli elettori ha svolto regolarmente il proprio dovere nei seggi. Inoltre i leader politici, a partire dal presidente Mwai Kibaki, una volta appresa la vittoria dei sostenitori del "no" alla proposta di riforma costituzionale, hanno invitato la popolazione al rispetto del verdetto sancito dalle urne e all'unità nazionale, presupposto indispensabile per ogni pacifica convivenza. Sebbene in questi anni il Kenya sia stato fortemente penalizzato da malgoverno e corruzione, l'elettorato è riuscito ad innescare, con le scorse presidenziali, il delicato meccanismo dell'alternanza nella gestione del potere. I condizionamenti da parte delle vecchie oligarchie e dei potentati etnici evidentemente non mancano, ma il dibattito politico è tale da indurre chiunque allo scoperto consentendo soprattutto alla società civile, nella sua complessa articolazione - associazioni, movimenti e chiese - di esprimere una visione ideale attenta, quanto meno in linea di principio, ai diritti fondamentali della persona e alle necessità della collettività nazionale.
Interprete di questo sentire è, almeno parzialmente, la stampa keniana che, con tutti i suoi pregi e difetti, appare sostanzialmente libera di criticare chiunque, esprimendo non poche volte il malcontento dei ceti meno abbienti che rapprese ntano la stragrande maggioranza della popolazione. Basti pensare che proprio il Daily Nation di Nairobi ha dedicato un'intera pagina ad una minuziosa descrizione dei salari e dei privilegi acquisiti dai ministri che, dimessi con decreto presidenziale da Kibaki a seguito del referendum, sono stati costretti a rinunciare a quello che l'inchiesta giornalistica ha giustamente etichettato come «ostentazione di lusso sfrenato» a discapito di coloro che in Kenya vivono dentro a baraccopoli in condizioni subumane. Il fatto poi che nelle università della capitale gli studenti avvertano sempre più il bisogno di un confronto serrato con le istituzioni, dimostra che i giovani hanno sufficiente adrenalina per cambiare le regole del gioco. Non è detto che ci riusciranno in tempi brevi ma le spinte riformiste indicano percorsi partecipativi che il vecchio Daniel arap Moi, ex "presidente padrone" finalmente ormai in pensione, aborriva con disgusto.
Ecco perché questo Paese, con tutte le sue contraddizioni, potrebbe promuovere un sano cambiamento nelle istruzioni politiche, non solo a livello nazionale, ma anche sul piano continente. La strada da fare è ancora lunga, non fosse altro perché sono ancora numerosi i camaleonti che saltano da un partito all'altro, riempiendosi la bocca di vane promesse, avendo unicamente a cuore il loro salvadanaio. Ma a pensarci bene, guardando allo scenario internazionale, le tentazioni della politica intesa come gestione del potere vanno ben al di la' dei confini dell'immenso continente africano. Una cosa e' certa: di pari passo con l'approfondirsi del divario di consenso per le élite, la gente in Kenya sembra sempre più voler sottoporre a una critica serrata l'immagine convenzionale di un'Africa vittima predestinata, a cui la tratta, la colonizzazione e l'andamento negativo dei termini di scambio non lascerebbero scampo. (Avvenire)
vBulletin® v3.6.4, Copyright ©2000-2025, Jelsoft Enterprises Ltd.