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View Full Version : Azerbaigian, elezioni, una verifica di democrazia


Ewigen
05-11-2005, 17:29
5 Novembre 2005
AZERBAIGIAN
Elezioni in Azerbaigian, una verifica di democrazia

Chiusa ieri la campagna elettorale segnata da numerose violazioni di diritti umani. Alta l’attenzione della comunità internazionale e in particolare dei vicini asiatici: il Paese, strategico dal punto di vista geopolitico e ricca fonte di petrolio.

Baku (AsiaNews/Agenzie) – Domani l’Azerbaigian vota per rinnovare il suo parlamento sotto, sotto la pressione della comunità internazionale e delle organizzazioni dei diritti umani, affinché la consultazione popolare avvenga in modo democratico e corretto. In gioco vi sono i 125 seggi dell’Assemblea nazionale (Milli Meclis) e la democrazia nel Paese, ma non solo. L'Azerbaigian, con i suoi 8 milioni di abitanti, al confine tra Russia e Iran, è uno stato nevralgico per la geopolitica, oltre che una vera e propria risorsa naturale di petrolio. Aspetti che risvegliano l'attenzione degli Stati Uniti, Cina e Russia, che si contendono quest’area di influenza.

I candidati sono 1.598, dei quali circa metà corrono come “indipendenti” e gli altri divisi in 48 partiti. La competizione appare, però, ristretta tra lo Yeni Azerbaycan Party (Yap) del presidente Ilham Aliyev e il blocco Azadliq, un’alleanza dei 3 maggiori partiti d’opposizione: i riformisti del Fronte popolare, il Partito democratico e il Musavat. Lo Yap aveva ottenuto 108 dei 125 seggi nelle elezioni del 2000 che, secondo tutti gli esperti, videro sistematici brogli.

Durante la campagna elettorale gli osservatori hanno lamentano ripetute violazioni della libertà di propaganda, con pestaggi, minacce e arresti di attivisti dell’opposizione, mancata autorizzazione a svolgere manifestazioni a Baku e cariche della polizia contro cortei non autorizzati. La televisione pubblica – dice l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) - ha dedicato circa il 97% dello spazio elettorale al partito di maggioranza, al governo e al presidente, che pure hanno il favore della stampa . “Il governo – commenta Holly Carter, direttore per Europa e Asia centrale dell’organizzazione umanitaria Human Rights Watch – non vuole permettere elezioni libere e leali. Siamo preoccupati che ciò possa portare a sanguinose repressioni contro chi protesta”. Ieri, ultimo giorno di campagna elettorale, solo il partito di governo ha potuto svolgere una manifestazione pubblica, invece negata al blocco Azadliq.

Rasul Quliyev, leader dell’opposizione in esilio dal 1996 e candidato al parlamento, ha cercato di tornare: il 17 ottobre, saputo che all’aeroporto era atteso dai militari per venire arrestato, è tornato indietro. Sono stati arrestati ministri del governo (tra cui Ali Insanov, ex ministro della Sanità considerato il quarto uomo più ricco del Paese), funzionari pubblici e uomini d’affari con l’accusa di voler compiere un colpo di Stato insieme a Quliyev.

Sulla regolarità della consultazione vigileranno gli osservatori dell'Osce, che hanno già ottenuto qualche ritocco alla legge elettorale, come l'introduzione dell'inchiostro indelebile sulle dita di chi ha già votato.

Favorito è il partito al governo, ma non si escludono sorprese. Il malcontento popolare è alto: secondo il Fondo monetario internazionale, metà della popolazione vive in povertà, la corruzione è diffusa, rimane irrisolto il problema degli oltre 500 mila profughi fuggiti dal Nagorno-Karabakh. Ma il presidente Aliyev è molto popolare e secondo molti può contare sul “potere” del petrolio. Lo Stato ha realizzato un oleodotto da Baku a Tbilisi e al porto turco di Ceyhan, che entrerà in funzione entro l’anno. Grazie al petrolio sono previste maggiori entrate pubbliche del 128% dal 2006 al 2009. (PB)

Ewigen
07-11-2005, 18:03
Le elezioni in Azerbaigian

Se l'Occidente preferisce la stabilità del clan Aliev

Al primo posto sembrano esserci gli interessi petroliferi
E, a torto, viene agitato lo spettro dell’estremismo islamico

Fulvio Scaglione

(Avvenire) Le elezioni politiche che si svolgono oggi in Azerbaigian sono un riassunto perfetto delle contraddizioni di questi anni.
Il Paese, affacciato sull’Asia Centrale, l’Iran e la Russia, è di straordinaria importanza strategica perché comproprietario delle enormi riserve di gas e petrolio del Mar Caspio, e dal 1993 è governato da una dinastia familiare, quella degli Aliev. In quell’anno, infatti, Geidar Aliev (ch’era stato generale del Kgb, capo del Pcus azero e infine strenuo oppositore della perestrojka di Gorbaciov) prese il potere sull’onda di un putsch militare, per lasciarlo solo nel 2003, quando all’età di 80 anni dovette soccombere a una grave malattia. In quello stesso anno gli successe il figlio Ilham, ch’era stato a lungo capo dell’azienda petrolifera di Stato, vera cassaforte del Paese e del regime. Nel tempo gli Aliev hanno fatto ciò che di solito fanno i regimi autoritari: censura, accurata ma non cruenta repressione, intrallazzi, arricchimento dei membri del clan. A lungo andare tutto questo ha stufato una parte della popolazione che da mesi, proprio in vista delle elezioni, protesta e si batte in modo simile a quello adottato a suo tempo da ucraini e georgiani. Anche in questo caso il regime non ha perso tempo: l’opposizione è contrastata con ogni mezzo, in carcere sono finiti anche alcuni ministri, accusati di complottare contro il presidente Aliev e poi costretti alla gogna della confessione di stile sovietico.
Le grandi democrazie occidentali, a lume di logica, dovrebbero stare dalla parte dell’opposizione, o almeno invitare il Governo a rispettare i diritti civili dei suoi cittadini. Non successe proprio questo in Ucraina e in Georgia?
Sbagliato. Con l’Azerbaigian succede il contrario. Silenzio, quando non aperto tifo per il clan Aliev. C’è però una logica in questa follia: all’Occidente conviene il regime degli Aliev e non ha alcun interesse a fomentare il cambiamento. Ci si può scandalizzare ma non stupire: governare vuol dire anche portare pet rolio alle fabbriche, kerosene alle caldaie, benzina alle automobili. Anche il singolo cittadino (italiano, americano, francese o tedesco poco importa) sarebbe infelice se le fabbriche si fermassero, le case fossero fredde in inverno, le automobili mancassero di carburante. La ragione per cui gli Aliev piacciono, per esempio, a Italia, Gran Bretagna, Usa, Turchia e Giappone (che con le rispettive compagnie petrolifere hanno laggiù forti interessi), si chiama stabilità. In un modo o nell’altro, il clan l’ha garantita a un Paese turbolento di suo e conficcato in una regione assai inquieta. E la stabilità è la condizione di base per lo sviluppo dei commerci e dell’economia.
Lo spettro dell’estremismo islamico, oggi agitato dal regime per fini propagandistici e subito raccolto anche da noi che a buon titolo lo temiamo, è poco più che un pretesto. Non mancano le infiltrazioni, certo. Ma l’Azerbaigian, dove appunto la maggioranza segue l’islam, fece una lunga (1989-1993) e sanguinosa (35 mila morti tra i soli azeri) guerra contro l’Armenia, Paese cristiano come pochi, per il controllo del Nagorno Karabakh, che mai prese connotazioni religiose. Al contrario, l’opposizione oggi promette di portare il Paese nella Nato e nella Ue e di costruire una base per le forze armate Usa. Tutto questo è bene saperlo, non per cinismo ma per precauzione. Nel caso cioè si fosse tentati di credere che gli interessi materiali siano spariti dalla scena del mondo.