von Clausewitz
31-10-2005, 22:59
http://213.215.144.81/public_html/images/q/q-fazio_fiorani_GENTE_exc.jpg
Foto dal settimanale Gente ritrente Fiorani e Fazio, non so se riferisce alla vacabza trascorsa insieme in Alto Adige come riferisce il corriere della sera di un paio di giorni fa
cmq c'è veramente poco da commentare:
http://www.dagospia.com/round.php3
FIORANI & C.: I FURBETTI LODIGIANI CHE PUNTAVANO SU AUTOSTRADE
COME LA PICCOLA BANCA È DIVENTATA UNA SLOT MACHINE TRUCCATA
MA IL CASTELLO DI CARTE STA PER CROLLARE UNA VOLTA PER TUTTE…
Vittorio Malagutti per “L’espresso”
Raccontano a Lodi che Gianpiero Fiorani puntava forte in Borsa su Autostrade. E lo stesso facevano i suoi amici: qualche manager della Popolare, i vecchi compagni del bar e un paio di professionisti rampanti della città. Era un titolo sicuro, quello. E aveva sempre mantenuto le promesse. Sin da quando, sul finire del 2002, la banda dei 'furbetti' lodigiani aveva scommesso alla grande su un'Opa imminente dei Benetton. L'Opa arrivò. Meglio. Ci fu un'offerta e poi un rilancio, con Fiorani e i suoi che guadagnarono milioni (di euro) a palate. Un colpo grosso, forse il più ricco nella breve ma intensa carriera di quel gruppo di speculatori d'alto bordo.
C'è poco da sorprendersi, allora, se il banchiere che fece grande la Popolare di Lodi, per poi perderla e perdersi, conservasse un feeling particolare per le azioni Autostrade. A tal punto che, come hanno ormai accertato le indagini della Procura di Milano sul suo conto, proprio su questi titoli aveva concentrato buona parte del suo patrimonio personale. Una semplice questione di feeling, allora? Forse tutta la faccenda andrebbe archiviata così, se non fosse che Fiorani e gli altri, nel caso di Autostrade come in decine di operazioni simili, si sono arricchiti con i soldi della Popolare di Lodi. L'elenco è sconfinato: Popolare Crema, Popolare Cremona, Kamps, Antonveneta, giusto per citare qualche affare borsistico concluso anche grazie alla creazione di speciali conti interni alla banca intestati a clienti inconsapevoli o compiacenti. E poi decine e decine di transazioni immobiliari da un capo all'altro della Penisola, finanziate con i soldi dell'istituto lodigiano a vantaggio di Fiorani e dei suoi sodali. Infine, i giochi di rimbalzo su veicoli societari off shore (i cosiddetti hedge fund, ma non solo) che sono serviti tra l'altro ad arricchire un gruppetto di amici finanzieri.
Con il passare degli anni, la piccola banca degli allevatori e degli agricoltori, la più antica popolare d'Italia dicevano con orgoglio a Lodi, è diventata una slot machine truccata, con un manipolo di eletti che giocavano a colpo sicuro. Era una macchina infernale, a suo modo perfetta, che ha lavorato a pieno regime per anni senza che gli organi di controllo (collegio dei sindaci, revisori, Banca d'Italia) muovessero una sola obiezione. Poi, con l'assalto all'Antonveneta, i pirati padani si sono messi al servizio di un progetto molto più grande di loro. Insieme a Emilio Gnutti e Stefano Ricucci, che già da tempo frequentavano Lodi, volevano dare uno scossone agli equilibri di potere nel mondo editoriale ('Corriere della Sera') e bancario, scalando l'Antonveneta e appoggiando l'attacco alla Bnl sferrato dall'amico Giovanni Consorte dell'Unipol.
Palazzi d'oro Il manipolo dei raider correva forte, fortissimo. Sempre sugli stessi binari del passato: prestiti senza garanzie, operazioni fittizie, giochi di sponda off shore. Del resto perché cambiare, se per anni quegli stessi sistemi avevano dato enormi soddisfazioni nell'impunità più totale? Questa volta è andata male. Il castello di carte sta per crollare una volta per tutte. Negli ultimi giorni alcuni personaggi chiave di questa brutta storia hanno offerto le loro verità ai pm milanesi Eugenio Fusco e Giulia Perrotti, che dalla scorsa primavera, partendo dalla scalata occulta ad Antonveneta, stanno indagando sul caso Lodi. Donato Patrini, amico e per molti anni strettissimo collaboratore di Fiorani, ha raccontato i retroscena di alcune operazioni finanziarie e, soprattutto, si è soffermato sull'acquisizione della Popolare di Crema, uno degli snodi chiave nella resistibile ascesa della banca lodigiana. Il commercialista fiorentino Riccardo Castrucci, invece, messo alle strette dagli investigatori, ha ricostruito i contorni di un'operazione immobiliare che avrebbe procurato almeno 10 milioni di profitti in nero per l'ex patron della Lodi e altri investitori. Lo stesso Fiorani, sentito nelle settimane scorse, ha fatto ammissioni importanti. Incrociando le sue dichiarazioni con quelle di altri protagonisti della vicenda come il costruttore Eraldo Galetti e l'ex dirigente della Popolare, Silvano Spinelli, hanno finalmente ricostruito la pista dei soldi. Quella più importante. Il canale del riciclaggio dei guadagni milionari realizzati dalla banda dei pirati padani.
Lo schema era semplice. Quasi banale. I proventi dell'insider trading e degli affari immobiliari venivano accreditati su conti esteri e da qui verso società off shore che poi reinvestivano il denaro in altre attività, soprattutto in Italia. Gli investigatori hanno messo nel mirino una lunga serie di società (Borgo Centrale, Borgo Nobile, Borgo del Forte, Frontemare, Immobiliare Marinai d'Italia, Perca, Liberty, Giorni sereni) che controllano un imponente patrimonio in case, palazzi e terreni sparso tra la Riviera Ligure, la Versilia, la Sardegna, la Costa Azzurra e il Lodigiano. Sono questi i terminali del fiume di denaro che nasce dalle operazioni sospette. Non per niente parte del capitale di queste società risulta intestato, o lo è stato nel recente passato, a schermi fiduciari (Unione fiduciaria o Nazionale fiduciaria). Di più, gli investigatori hanno accertato che questi paraventi sono serviti a nascondere gli investimenti di società off shore, approdati in Italia da conti svizzeri. Tra i partner e gli amministratori di queste iniziative spuntano sempre gli stessi nomi. Oltre a Galetti e Ferrari, anche Desiderio Zoncada, la famiglia Marazzina, Giuseppe (Poppi) Ferrari Aggradi, tutti legatissimi a Fiorani.
Mizar, che affare! Il piatto forte di questa abbuffata immobiliare stava in banca, tra le centinaia di palazzi controllati dalla Lodi e dagli altri istituti del gruppo. Nel business del mattone c'erano due sponde d'eccezione come Ricucci e Gnutti. Non si contano le proprietà passate dal forziere della Popolare a quello dei due finanzieri. Il meccanismo ha funzionato alla grande per anni, oliato dai prestiti dell'istituto padano. All'occorrenza però gli affari prendevano altre strade. Un esempio su tutti, quello della Mizar, una società immobiliare che nel 2003 venne sfilata alla Popolare di Lodi grazie a un'acrobatica operazione costruita tra la Toscana e i Caraibi. L'affare sospetto, già segnalato da 'L'espresso' (n. 13 del 2004), è finito in questi giorni nel mirino dei pm di Milano che ne hanno chiesto conto a Fiorani e al professionista fiorentino Castrucci.
Che cosa è successo? Tutto comincia nel giugno del 2003 quando la Popolare di Lodi gira immobili per un valore di 50 milioni di euro alla Mizar srl, una propria controllata. Quest'ultima però prende subito il volo verso i Caraibi comprata dalla Yol trading, una finanziaria con base alle British Virgin island. Chi c'è dietro? Mistero. Si sa soltanto che la Yol è rappresentata da Paolo Marmont e Fabio Conti, due manager italo svizzeri da anni in stretti rapporti con Fiorani. Marmont e Conti, come vedremo, sono due protagonisti dell'arcipelago off shore legato alla Popolare. Nel giro di poche settimane la Yol vende a Castrucci la Mizar con la sua ricca dote di palazzi. L'acquirente non vanta certo un curriculum da grande operatore immobiliare. In compenso viene finanziato, via Svizzera, dalla banca di Lodi. Restano in sospeso almeno 10 milioni di euro che, secondo i sospetti degli investigatori, sarebbero affluiti ai Caraibi nella disponibilità di Fiorani e di altri sodali.
Scatole cinesi La pista della Mizar, quindi, porta dritta ai Caraibi, approdo classico per le scorribande dei pirati di Lodi. Lo dimostra un'altra storia per molti aspetti sconcertante. In questi giorni, con singolare tempismo, gli organi di controllo della Popolare, affidata al nuovo direttore generale Divo Gronchi, hanno scoperto che la banca sotto la gestione Fiorani aveva investito circa 900 milini di euro in fondi off shore e altri veicoli caraibici. 'L'espresso' lo aveva già scritto più volte l'estate scorsa, elencando anche alcuni dei fondi in questione (tutti con base alle Cayman o alle Bermuda) come Five, Arf, Bipielle enhanced fund, oltre naturalmente al Victoria & Eagle, più volte al centro di sospetti e indiscrezioni. È una situazione a dir poco singolare. Una banca alla perenne ricerca di liquidità dirotta somme considerevoli verso strumenti finanziari ad alto rischio. Un motivo c'era. Quei fondi servivano a parcheggiare titoli 'caldi', per esempio quelli di Antonveneta o della stessa Popolare di Lodi. Era un circolo vizioso: la banca investiva nei fondi che investivano nella banca. Peggio, a volte i fondi compravano quote di altri fondi con in portafoglio titoli della Lodi.
In questa apoteosi delle scatole cinesi, e del conflitto d'interessi, qualcuno ci guadagnava. Per esempio le finanziarie basate a Londra oppure nei paradisi fiscali, che ricevevano ricche commissioni, a volte fino a sfiorare il 2 per cento annuo, per fornire servizi di consulenza, ricerca, distribuzione alle società di gestione dei fondi. Una su tutte: la Victoria & Eagle, rappresentata da Conti e Marmont. A dirigere il traffico degli investimenti caraibici c'era la Bipielle Suisse, guidata dall'amministratore delegato Mauro Scalfi. Non è ancora finita. Dopo queste prime scoperte, presto potrebbero arrivare nuove sorprese sul fronte dei paradisi fiscali. Gli ispettori di Banca d'Italia, al lavoro a Lodi da tre mesi, hanno dedicato molta attenzione ad eventuali rapporti finanziari tra la banca e veicoli finanziari off shore. È il caso per esempio del fondo Café, costruito dalla Dresdner bank, che a suo tempo assorbì i fallimentari investimenti di Lodi in bond Parmalat.
Autostrade off shore Anche la gigantesca operazione su Autostrade ha preso le mosse al sole dei Caraibi. Per la precisione da una finanziaria delle British Virgin islands, la Hd2. Dietro questa sigla si muoveva Gaudenzio Roveda, giovane e brillante trader di Borsa, figlio di un commercialista lodigiano. Roveda è un grande amico di Fiorani e anche dell'ex direttore finanziario della Popolare Gianfranco Boni, travolto nelle settimane scorse dalla bufera giudiziaria. I rapporti sono tanto stretti che nel novembre del 2004, poco prima che scattasse l'attacco ad Antonveneta, l'istituto lodigiano gli paga un corso intensivo d'inglese a Londra. Compagni di classe: Fiorani e Boni. L'operazione Autostrade parte nel corso del 2002, quando Roveda, che vanta ottimi rapporti anche con il Sanpaolo Imi, incomincia a rastrellare azioni del gruppo controllato dalla famiglia Benetton. Per l'occasione la società Hd2 viene generosamente finanziata dalla Bipielle Suisse.
Il raider non scende in campo da solo. Lo seguono anche manager e amministratori della banca lodigiana. Il gruppo di investitori deve essere molto fortunato o molto bene informato. Tutti scommettevano su un'imminente Offerta pubblica d'acquisto lanciata dai Benetton. E puntualmente, a fine anno, l'opa va in scena. Il mercato però non è soddisfatto. In Borsa le quotazioni vengono spinte all'insù da massicci ordini di acquisto. A quell'epoca si parlò dell'intervento di alcuni hedge fund. Altre voci immaginavano un'incursione di Gnutti. Sarà. Ma sembra altrettanto probabile che i lodigiani diedero un contributo determinante per spingere le azioni al rialzo. Alla fine i Benetton si rassegnarono a prendere atto della situazione: il prezzo d'Opa venne aumentato da 9,5 a 10 euro per ogni titolo Autostrade. Risultato: Roveda & C. realizzarono guadagni milionari. Un grande affare. E non fu l'unico. Giusto un anno prima la macchina dei raider si era messa in moto un'altra volta. Nel mirino c'era la Kamps, l'azienda alimentare tedesca comprata dalla Barilla con la consulenza e i prestiti della Popolare allora guidata da Fiorani e della controllata Efibanca
A Lodi cominciarono ad accumulare titoli Kamps, quotata a Francoforte, con grande anticipo rispetto al lancio dell'Opa, che partì solo nel maggio del 2002. Gli acquisti passarono per le solite società off shore, spesso finanziate dalla luganese Bipielle Suisse. Non solo. Pacchetti importanti di titoli confluirono su conti della Lodi intestati a clienti molto ricchi e di provata fedeltà. Su questi depositi sono transitati movimenti per decine di milioni di euro e spesso, come controparte, figurava proprio la banca lodigiana. L'Opa su Kamps si concluse con un successo, ma solo dopo un ritocco al rialzo del prezzo d'offerta iniziale. Lo stesso copione che, pochi mesi dopo, andò in scena su Autostrade. A quell'epoca, e anche dopo, molti analisti conclusero che Barilla aveva pagato un prezzo troppo elevato per la preda tedesca, oberata dai debiti. Poco male, per Fiorani e compagni. Forse la consulenza non si sarà rivelata all'altezza della situazione. Ma vuoi mettere con il brivido dei guadagni in Borsa?
Dagospia 31 Ottobre 2005
Foto dal settimanale Gente ritrente Fiorani e Fazio, non so se riferisce alla vacabza trascorsa insieme in Alto Adige come riferisce il corriere della sera di un paio di giorni fa
cmq c'è veramente poco da commentare:
http://www.dagospia.com/round.php3
FIORANI & C.: I FURBETTI LODIGIANI CHE PUNTAVANO SU AUTOSTRADE
COME LA PICCOLA BANCA È DIVENTATA UNA SLOT MACHINE TRUCCATA
MA IL CASTELLO DI CARTE STA PER CROLLARE UNA VOLTA PER TUTTE…
Vittorio Malagutti per “L’espresso”
Raccontano a Lodi che Gianpiero Fiorani puntava forte in Borsa su Autostrade. E lo stesso facevano i suoi amici: qualche manager della Popolare, i vecchi compagni del bar e un paio di professionisti rampanti della città. Era un titolo sicuro, quello. E aveva sempre mantenuto le promesse. Sin da quando, sul finire del 2002, la banda dei 'furbetti' lodigiani aveva scommesso alla grande su un'Opa imminente dei Benetton. L'Opa arrivò. Meglio. Ci fu un'offerta e poi un rilancio, con Fiorani e i suoi che guadagnarono milioni (di euro) a palate. Un colpo grosso, forse il più ricco nella breve ma intensa carriera di quel gruppo di speculatori d'alto bordo.
C'è poco da sorprendersi, allora, se il banchiere che fece grande la Popolare di Lodi, per poi perderla e perdersi, conservasse un feeling particolare per le azioni Autostrade. A tal punto che, come hanno ormai accertato le indagini della Procura di Milano sul suo conto, proprio su questi titoli aveva concentrato buona parte del suo patrimonio personale. Una semplice questione di feeling, allora? Forse tutta la faccenda andrebbe archiviata così, se non fosse che Fiorani e gli altri, nel caso di Autostrade come in decine di operazioni simili, si sono arricchiti con i soldi della Popolare di Lodi. L'elenco è sconfinato: Popolare Crema, Popolare Cremona, Kamps, Antonveneta, giusto per citare qualche affare borsistico concluso anche grazie alla creazione di speciali conti interni alla banca intestati a clienti inconsapevoli o compiacenti. E poi decine e decine di transazioni immobiliari da un capo all'altro della Penisola, finanziate con i soldi dell'istituto lodigiano a vantaggio di Fiorani e dei suoi sodali. Infine, i giochi di rimbalzo su veicoli societari off shore (i cosiddetti hedge fund, ma non solo) che sono serviti tra l'altro ad arricchire un gruppetto di amici finanzieri.
Con il passare degli anni, la piccola banca degli allevatori e degli agricoltori, la più antica popolare d'Italia dicevano con orgoglio a Lodi, è diventata una slot machine truccata, con un manipolo di eletti che giocavano a colpo sicuro. Era una macchina infernale, a suo modo perfetta, che ha lavorato a pieno regime per anni senza che gli organi di controllo (collegio dei sindaci, revisori, Banca d'Italia) muovessero una sola obiezione. Poi, con l'assalto all'Antonveneta, i pirati padani si sono messi al servizio di un progetto molto più grande di loro. Insieme a Emilio Gnutti e Stefano Ricucci, che già da tempo frequentavano Lodi, volevano dare uno scossone agli equilibri di potere nel mondo editoriale ('Corriere della Sera') e bancario, scalando l'Antonveneta e appoggiando l'attacco alla Bnl sferrato dall'amico Giovanni Consorte dell'Unipol.
Palazzi d'oro Il manipolo dei raider correva forte, fortissimo. Sempre sugli stessi binari del passato: prestiti senza garanzie, operazioni fittizie, giochi di sponda off shore. Del resto perché cambiare, se per anni quegli stessi sistemi avevano dato enormi soddisfazioni nell'impunità più totale? Questa volta è andata male. Il castello di carte sta per crollare una volta per tutte. Negli ultimi giorni alcuni personaggi chiave di questa brutta storia hanno offerto le loro verità ai pm milanesi Eugenio Fusco e Giulia Perrotti, che dalla scorsa primavera, partendo dalla scalata occulta ad Antonveneta, stanno indagando sul caso Lodi. Donato Patrini, amico e per molti anni strettissimo collaboratore di Fiorani, ha raccontato i retroscena di alcune operazioni finanziarie e, soprattutto, si è soffermato sull'acquisizione della Popolare di Crema, uno degli snodi chiave nella resistibile ascesa della banca lodigiana. Il commercialista fiorentino Riccardo Castrucci, invece, messo alle strette dagli investigatori, ha ricostruito i contorni di un'operazione immobiliare che avrebbe procurato almeno 10 milioni di profitti in nero per l'ex patron della Lodi e altri investitori. Lo stesso Fiorani, sentito nelle settimane scorse, ha fatto ammissioni importanti. Incrociando le sue dichiarazioni con quelle di altri protagonisti della vicenda come il costruttore Eraldo Galetti e l'ex dirigente della Popolare, Silvano Spinelli, hanno finalmente ricostruito la pista dei soldi. Quella più importante. Il canale del riciclaggio dei guadagni milionari realizzati dalla banda dei pirati padani.
Lo schema era semplice. Quasi banale. I proventi dell'insider trading e degli affari immobiliari venivano accreditati su conti esteri e da qui verso società off shore che poi reinvestivano il denaro in altre attività, soprattutto in Italia. Gli investigatori hanno messo nel mirino una lunga serie di società (Borgo Centrale, Borgo Nobile, Borgo del Forte, Frontemare, Immobiliare Marinai d'Italia, Perca, Liberty, Giorni sereni) che controllano un imponente patrimonio in case, palazzi e terreni sparso tra la Riviera Ligure, la Versilia, la Sardegna, la Costa Azzurra e il Lodigiano. Sono questi i terminali del fiume di denaro che nasce dalle operazioni sospette. Non per niente parte del capitale di queste società risulta intestato, o lo è stato nel recente passato, a schermi fiduciari (Unione fiduciaria o Nazionale fiduciaria). Di più, gli investigatori hanno accertato che questi paraventi sono serviti a nascondere gli investimenti di società off shore, approdati in Italia da conti svizzeri. Tra i partner e gli amministratori di queste iniziative spuntano sempre gli stessi nomi. Oltre a Galetti e Ferrari, anche Desiderio Zoncada, la famiglia Marazzina, Giuseppe (Poppi) Ferrari Aggradi, tutti legatissimi a Fiorani.
Mizar, che affare! Il piatto forte di questa abbuffata immobiliare stava in banca, tra le centinaia di palazzi controllati dalla Lodi e dagli altri istituti del gruppo. Nel business del mattone c'erano due sponde d'eccezione come Ricucci e Gnutti. Non si contano le proprietà passate dal forziere della Popolare a quello dei due finanzieri. Il meccanismo ha funzionato alla grande per anni, oliato dai prestiti dell'istituto padano. All'occorrenza però gli affari prendevano altre strade. Un esempio su tutti, quello della Mizar, una società immobiliare che nel 2003 venne sfilata alla Popolare di Lodi grazie a un'acrobatica operazione costruita tra la Toscana e i Caraibi. L'affare sospetto, già segnalato da 'L'espresso' (n. 13 del 2004), è finito in questi giorni nel mirino dei pm di Milano che ne hanno chiesto conto a Fiorani e al professionista fiorentino Castrucci.
Che cosa è successo? Tutto comincia nel giugno del 2003 quando la Popolare di Lodi gira immobili per un valore di 50 milioni di euro alla Mizar srl, una propria controllata. Quest'ultima però prende subito il volo verso i Caraibi comprata dalla Yol trading, una finanziaria con base alle British Virgin island. Chi c'è dietro? Mistero. Si sa soltanto che la Yol è rappresentata da Paolo Marmont e Fabio Conti, due manager italo svizzeri da anni in stretti rapporti con Fiorani. Marmont e Conti, come vedremo, sono due protagonisti dell'arcipelago off shore legato alla Popolare. Nel giro di poche settimane la Yol vende a Castrucci la Mizar con la sua ricca dote di palazzi. L'acquirente non vanta certo un curriculum da grande operatore immobiliare. In compenso viene finanziato, via Svizzera, dalla banca di Lodi. Restano in sospeso almeno 10 milioni di euro che, secondo i sospetti degli investigatori, sarebbero affluiti ai Caraibi nella disponibilità di Fiorani e di altri sodali.
Scatole cinesi La pista della Mizar, quindi, porta dritta ai Caraibi, approdo classico per le scorribande dei pirati di Lodi. Lo dimostra un'altra storia per molti aspetti sconcertante. In questi giorni, con singolare tempismo, gli organi di controllo della Popolare, affidata al nuovo direttore generale Divo Gronchi, hanno scoperto che la banca sotto la gestione Fiorani aveva investito circa 900 milini di euro in fondi off shore e altri veicoli caraibici. 'L'espresso' lo aveva già scritto più volte l'estate scorsa, elencando anche alcuni dei fondi in questione (tutti con base alle Cayman o alle Bermuda) come Five, Arf, Bipielle enhanced fund, oltre naturalmente al Victoria & Eagle, più volte al centro di sospetti e indiscrezioni. È una situazione a dir poco singolare. Una banca alla perenne ricerca di liquidità dirotta somme considerevoli verso strumenti finanziari ad alto rischio. Un motivo c'era. Quei fondi servivano a parcheggiare titoli 'caldi', per esempio quelli di Antonveneta o della stessa Popolare di Lodi. Era un circolo vizioso: la banca investiva nei fondi che investivano nella banca. Peggio, a volte i fondi compravano quote di altri fondi con in portafoglio titoli della Lodi.
In questa apoteosi delle scatole cinesi, e del conflitto d'interessi, qualcuno ci guadagnava. Per esempio le finanziarie basate a Londra oppure nei paradisi fiscali, che ricevevano ricche commissioni, a volte fino a sfiorare il 2 per cento annuo, per fornire servizi di consulenza, ricerca, distribuzione alle società di gestione dei fondi. Una su tutte: la Victoria & Eagle, rappresentata da Conti e Marmont. A dirigere il traffico degli investimenti caraibici c'era la Bipielle Suisse, guidata dall'amministratore delegato Mauro Scalfi. Non è ancora finita. Dopo queste prime scoperte, presto potrebbero arrivare nuove sorprese sul fronte dei paradisi fiscali. Gli ispettori di Banca d'Italia, al lavoro a Lodi da tre mesi, hanno dedicato molta attenzione ad eventuali rapporti finanziari tra la banca e veicoli finanziari off shore. È il caso per esempio del fondo Café, costruito dalla Dresdner bank, che a suo tempo assorbì i fallimentari investimenti di Lodi in bond Parmalat.
Autostrade off shore Anche la gigantesca operazione su Autostrade ha preso le mosse al sole dei Caraibi. Per la precisione da una finanziaria delle British Virgin islands, la Hd2. Dietro questa sigla si muoveva Gaudenzio Roveda, giovane e brillante trader di Borsa, figlio di un commercialista lodigiano. Roveda è un grande amico di Fiorani e anche dell'ex direttore finanziario della Popolare Gianfranco Boni, travolto nelle settimane scorse dalla bufera giudiziaria. I rapporti sono tanto stretti che nel novembre del 2004, poco prima che scattasse l'attacco ad Antonveneta, l'istituto lodigiano gli paga un corso intensivo d'inglese a Londra. Compagni di classe: Fiorani e Boni. L'operazione Autostrade parte nel corso del 2002, quando Roveda, che vanta ottimi rapporti anche con il Sanpaolo Imi, incomincia a rastrellare azioni del gruppo controllato dalla famiglia Benetton. Per l'occasione la società Hd2 viene generosamente finanziata dalla Bipielle Suisse.
Il raider non scende in campo da solo. Lo seguono anche manager e amministratori della banca lodigiana. Il gruppo di investitori deve essere molto fortunato o molto bene informato. Tutti scommettevano su un'imminente Offerta pubblica d'acquisto lanciata dai Benetton. E puntualmente, a fine anno, l'opa va in scena. Il mercato però non è soddisfatto. In Borsa le quotazioni vengono spinte all'insù da massicci ordini di acquisto. A quell'epoca si parlò dell'intervento di alcuni hedge fund. Altre voci immaginavano un'incursione di Gnutti. Sarà. Ma sembra altrettanto probabile che i lodigiani diedero un contributo determinante per spingere le azioni al rialzo. Alla fine i Benetton si rassegnarono a prendere atto della situazione: il prezzo d'Opa venne aumentato da 9,5 a 10 euro per ogni titolo Autostrade. Risultato: Roveda & C. realizzarono guadagni milionari. Un grande affare. E non fu l'unico. Giusto un anno prima la macchina dei raider si era messa in moto un'altra volta. Nel mirino c'era la Kamps, l'azienda alimentare tedesca comprata dalla Barilla con la consulenza e i prestiti della Popolare allora guidata da Fiorani e della controllata Efibanca
A Lodi cominciarono ad accumulare titoli Kamps, quotata a Francoforte, con grande anticipo rispetto al lancio dell'Opa, che partì solo nel maggio del 2002. Gli acquisti passarono per le solite società off shore, spesso finanziate dalla luganese Bipielle Suisse. Non solo. Pacchetti importanti di titoli confluirono su conti della Lodi intestati a clienti molto ricchi e di provata fedeltà. Su questi depositi sono transitati movimenti per decine di milioni di euro e spesso, come controparte, figurava proprio la banca lodigiana. L'Opa su Kamps si concluse con un successo, ma solo dopo un ritocco al rialzo del prezzo d'offerta iniziale. Lo stesso copione che, pochi mesi dopo, andò in scena su Autostrade. A quell'epoca, e anche dopo, molti analisti conclusero che Barilla aveva pagato un prezzo troppo elevato per la preda tedesca, oberata dai debiti. Poco male, per Fiorani e compagni. Forse la consulenza non si sarà rivelata all'altezza della situazione. Ma vuoi mettere con il brivido dei guadagni in Borsa?
Dagospia 31 Ottobre 2005