Adric
26-10-2005, 15:24
Lunedì 24 Ottobre 2005
La scarsa igiene favorisce la diffusione di batteri in ospedale. L’Oms costretta a diffondere le “linee guida”
I medici italiani si lavano poco le mani
Uno studio: sono la “maglia nera” in Europa, lo fanno solo ogni cinque pazienti
di CARLA MASSI
ROMA – L'Organizzazione mondiale della sanità è stata costretta a metterlo nero su bianco: i medici devono lavarsi le mani. Un'indicazione che sorprende in quest'epoca ma che l'Oms, solo pochi giorni fa, ha messo in testa alle indicazione utili per limitare la diffusione dei batteri negli ospedali come fuori. I camici bianchi italiani risultano infatti in Europa i meno attenti a seguire questa elementare regola igienica. Ovviamente, ad andare al bagno e lavarsi le mani, sono invitati anche gli infermieri e tutti coloro che lavorano nella sanità. Uno studio compiuto su 40 ospedali italiani e presentanto in primavera , “INF NOS 2”, ha dimostrato che, nella media, un camice bianco prende in mano il sapone una volta ogni cinque contatti con i pazienti. La Società italiana di chemioterapia che ha organizzato in questi giorni a Firenze il congresso europeo di Chemioterapia e infezioni rilancia l'allarme: solo un medico su due si lava le mani fra una visita e l'altra. Per giunta, chi si ricorda di farlo, dedica alla pulizia poco meno di dieci secondi, “dimenticando” di asciugarsi quattro volte su cinque. Un bel record.
Non c'è da stupirsi, dunque, se nel resto della popolazione, nonostante il boom di profumi, deodoranti e bagnoschiuma, l'abitudine a prendere in mano la saponetta e assai rara. Soprattutto prima di mettersi a tavola. Denaro, maniglie dell'autobus, tastiere, ma anche il volante dell'auto a noleggio e dei dvd in affitto, come si legge in una ricerca presentata al summit di Firenze, riescono a regalare migliaia e migliaia di batteri. In particolare due tipi di stafilococco responsabili di infezioni respiratorie, cutanee e gastrointestinali. Un esempio per tutti è emerso dal lavoro “INF NOS 2” condotto con la supervisione scientifica dall'istituto Lazzaro Spallanzani di Roma: una persona su cinque apre l'acqua del lavandino dopo essere andata nel bagno di un autogrill. L'abitudine è uguale anche a casa ma, in un posto pubblico (peraltro dove si mangia anche) è stato più agile monitorare il fenomeno.
Il fenomeno è talmente diffuso, appunto, da spingere un'organizzazione come l'Oms a stendere delle nuove “Linee guida sulla corretta igiene delle mani”. Quasi si fosse rimasti all'Ottocento quando un medico ungherese , Ignazio Filippo Semmelweis, si rese conto che si sarebbe potuta debellare la febbre puerperale soltanto con un'accurata pulizia da parte dei sanitari. Erano loro, si accorse, che diffondevano la febbre di casa in casa perchè, subito dopo il parto, non lavavano le mani.
«L'igiene delle mani, che comporta un'azione veramente semplice, rimane la misura primaria per ridurre le infezioni associate a prestazioni sanitarie spiega Teresita Mazzei, presidente del congresso e ordinario di Chemioterapia al dipartiemnto di Farmacologia di Firenze . Una buona abitudine appannaggio di pochi, tra i medici come tra la gente comune. Limitare il diffondersi delle infezioni ci permette di dare un aiuto concreto a far sì che le terapie antibiotiche abbiano pieno successo. Che non si inneschino resistenze ai farmaci». Si pensi che da noi, e dicono gli specialisti ci difendiamo bene, l'11 per cento degli agenti patogeni più diffusi resiste alla terapia antibiotica.
«Ogni giorno ricorda Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'istituto per le malattie infettive di Roma Lazzaro Spallanzani ciascuno di noi trasferisce circa mezzo chilo di materiale microbico. Più ci laviamo e più il carico si riduce. Purtroppo dobbiamo notare che non esiste correlazione tra il diffondersi dei prodotti cosmetici e le pratiche reali di igiene della persona. E' più facile, sembra, utilizzare deodoranti e profumi che non un banale detergente per le mani».
(Il Messaggero)
La scarsa igiene favorisce la diffusione di batteri in ospedale. L’Oms costretta a diffondere le “linee guida”
I medici italiani si lavano poco le mani
Uno studio: sono la “maglia nera” in Europa, lo fanno solo ogni cinque pazienti
di CARLA MASSI
ROMA – L'Organizzazione mondiale della sanità è stata costretta a metterlo nero su bianco: i medici devono lavarsi le mani. Un'indicazione che sorprende in quest'epoca ma che l'Oms, solo pochi giorni fa, ha messo in testa alle indicazione utili per limitare la diffusione dei batteri negli ospedali come fuori. I camici bianchi italiani risultano infatti in Europa i meno attenti a seguire questa elementare regola igienica. Ovviamente, ad andare al bagno e lavarsi le mani, sono invitati anche gli infermieri e tutti coloro che lavorano nella sanità. Uno studio compiuto su 40 ospedali italiani e presentanto in primavera , “INF NOS 2”, ha dimostrato che, nella media, un camice bianco prende in mano il sapone una volta ogni cinque contatti con i pazienti. La Società italiana di chemioterapia che ha organizzato in questi giorni a Firenze il congresso europeo di Chemioterapia e infezioni rilancia l'allarme: solo un medico su due si lava le mani fra una visita e l'altra. Per giunta, chi si ricorda di farlo, dedica alla pulizia poco meno di dieci secondi, “dimenticando” di asciugarsi quattro volte su cinque. Un bel record.
Non c'è da stupirsi, dunque, se nel resto della popolazione, nonostante il boom di profumi, deodoranti e bagnoschiuma, l'abitudine a prendere in mano la saponetta e assai rara. Soprattutto prima di mettersi a tavola. Denaro, maniglie dell'autobus, tastiere, ma anche il volante dell'auto a noleggio e dei dvd in affitto, come si legge in una ricerca presentata al summit di Firenze, riescono a regalare migliaia e migliaia di batteri. In particolare due tipi di stafilococco responsabili di infezioni respiratorie, cutanee e gastrointestinali. Un esempio per tutti è emerso dal lavoro “INF NOS 2” condotto con la supervisione scientifica dall'istituto Lazzaro Spallanzani di Roma: una persona su cinque apre l'acqua del lavandino dopo essere andata nel bagno di un autogrill. L'abitudine è uguale anche a casa ma, in un posto pubblico (peraltro dove si mangia anche) è stato più agile monitorare il fenomeno.
Il fenomeno è talmente diffuso, appunto, da spingere un'organizzazione come l'Oms a stendere delle nuove “Linee guida sulla corretta igiene delle mani”. Quasi si fosse rimasti all'Ottocento quando un medico ungherese , Ignazio Filippo Semmelweis, si rese conto che si sarebbe potuta debellare la febbre puerperale soltanto con un'accurata pulizia da parte dei sanitari. Erano loro, si accorse, che diffondevano la febbre di casa in casa perchè, subito dopo il parto, non lavavano le mani.
«L'igiene delle mani, che comporta un'azione veramente semplice, rimane la misura primaria per ridurre le infezioni associate a prestazioni sanitarie spiega Teresita Mazzei, presidente del congresso e ordinario di Chemioterapia al dipartiemnto di Farmacologia di Firenze . Una buona abitudine appannaggio di pochi, tra i medici come tra la gente comune. Limitare il diffondersi delle infezioni ci permette di dare un aiuto concreto a far sì che le terapie antibiotiche abbiano pieno successo. Che non si inneschino resistenze ai farmaci». Si pensi che da noi, e dicono gli specialisti ci difendiamo bene, l'11 per cento degli agenti patogeni più diffusi resiste alla terapia antibiotica.
«Ogni giorno ricorda Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'istituto per le malattie infettive di Roma Lazzaro Spallanzani ciascuno di noi trasferisce circa mezzo chilo di materiale microbico. Più ci laviamo e più il carico si riduce. Purtroppo dobbiamo notare che non esiste correlazione tra il diffondersi dei prodotti cosmetici e le pratiche reali di igiene della persona. E' più facile, sembra, utilizzare deodoranti e profumi che non un banale detergente per le mani».
(Il Messaggero)