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View Full Version : THE BIG BROTHER IS WATCHING YOU


diafino
24-10-2005, 16:37
Tratto dal giornalino della scuola

Nascita, crescita e consacrazione d’un fenomeno oggigiorno di massa

Televisione, ogni giorno, ogni ora, ogni emittente.
Quelli che la telecamera è l’unico modo per farsi (ri)conoscere.
In principio fu “Il Grande Fratello”, poi vennero “Survivor”, “Music Farm”, “L’isola dei famosi”, “La Fattoria”, “Campioni”, “La Talpa” e molti altri ancora.
Divi della televisione, sportivi, giornalisti e cantanti, ma anche pizzaioli siciliani, nullafacenti baresi e trentini con le guance rosse, tutti insieme appassionatamente, alla disperata ricerca di quel famoso quarto d’ora (ma in realtà si spera molto di più) di celebrità che spetta ad ognuno nella sua esistenza. C’è chi gioca il suo rilancio sottoponendosi a (stupide) prove in cui mostra impietosamente tutta la sua piccolezza, chi punta il suo capitale su amori presunti e tradimenti ad alto audience e chi, anche su un’isola deserta, riesce a fare a botte con i suoi compagni di (dis)avventura.
E poi, per la serie “The last but not the least,” ci sono quelle che viste di mattina senza trucco e senza la messa in piega dell’amico parrucchiere somigliano alla panettiera sotto casa nostra e gli ignoti italiani che s’inventano meteore del piccolo schermo mettendo in piazza la loro mediocrità e il loro essere copie sbiadite e prive d’inventiva dei vip che s’azzannano per un pezzo di carne qualche onda magnetica più in là.
Quelli che la televisione è dove lavare i propri panni sporchi
”Al posto tuo”, “Uomini e donne”, “La vita in diretta”, “Verissimo” e l’elenco di trasmissioni che puntano sulla sensibilità e semplicità della casalinga media è ancora molto lungo. Amori estivi, invernali, di mezza stazione, in saldo, segreti, della terza età e reali. Tutto fa brodo, l’importante è che si susciti l’effetto commozione con lacrimuccia di riconoscimento alla fine del servizio. Quelli che alternano dibattiti sulla tragedia di Cogne ad approfondimenti sull’accoppiata calciatore-velina dell’ultima ora; quelli che vengono pagati per raccontare storie di tradimenti, amori disperati e figli illegittimi, quelli che per fortuna ci pensa Maria a fargli far pace con la suocera furiosa e quelli che la casa del vip è sempre più bella, interessante (e mal arredata) della propria.
Al giorno d’oggi l’imperativo è ostentare, unito, ovviamente, ad apparire.
Il concetto di vita privata diventa così antiquato e inesistente, le lacrime in bagno e gli intimi difetti del famoso di turno fanno molto più audience e garantiscono soldi a palate e celebrità immediata. La casalinga che stira le camice del marito in un nebbioso pomeriggio milanese e l’adolescente calabrese che cerca di non affondare tra le pagine del libro di filosofia, solitamente così diversi tra loro, diventano esattamente identici per un paio d’ore e si ritrovano a sperare all’unisono che Pietro molli finalmente quella noia umana di Cristina per dar spettacolo con Marina che, si è una gran gattamorta, ma almeno non passa la sua vita a lamentarsi sul divano.
E poco importa se sia reale o no quel che si vede, che sia solamente un copione scritto dagli autori o la crudele storia d’un tradimento a tubo catodico, ciò che preme è poterne vedere la fine immedesimandosi nella storia raccontata e vivendola con aria sognante.
Il bello è che il giorno dopo leggi fiumi d’inchiostro che stroncano questo tipo di spettacolo e ritrovi quelle stesse casalinghe disperate, che ieri si struggevano per la morte del conte Fabrizio Ristori, a commentare in modo ipocrita la bassezza di quanto trasmesso in televisione (e, chiaramente, nessuna di loro mai ammetterà che non è stata in grado di cambiar canale prima di vederne la conclusione).
E’ inutile fare i falsi moralisti, quelli che si scandalizzano per le ballerine svestite all’ora di cena e i film dell’orrore in prima serata che il bimbo vedrà, parcheggiato solitario davanti al piccolo schermo, rimanendone turbato da non riuscire a prender sonno la notte; perché prima di gridare allo scandalo non si riflette sul fatto che in fondo è comodo avere un baby-sitter elettronico che intrattiene i nostri figli senza sforzi da parte nostra e che d’altrocanto, la velina col microgonnellino l’abbiamo segretamente appesa in ufficio in versione dodici mesi, trecentosessantacinque giorni e zero indumenti indossati? Come invocare la censura e la pubblica gogna per le parolacce e le bestemmie in prime time quando per un gol sbagliato o un incidente che ci accade ci esprimiamo con un linguaggio che in confronto i camionisti tedeschi sono timorose educande ottocentesche?
Ciò che la televisione trasmette è solo l’esatta proiezione di quel che noi, ragionando in termini di massa, siamo; perché, anche se non lo ammetteremmo mai, ci piace sognare di diventare divi del teleschermo, vedere in onda le disgrazie altrui, osservare ragazzi e ragazze sgambettanti e svestiti e sapere che anche l’idolo dell’ultima soap, proprio come noi, assieme al cantante della nostra giovinezza, si mette le dita nel naso e si lascia andare a concerti intestinali non contemplati nel famoso libro del galateo.
Le motivazioni sociologiche e psicologiche per interpretare questo fenomeno si sprecano, e proprio in conseguenza ad esse, programmi medio-pessimi raccolgono un audience di milioni di telespettatori e ogni giorno che passa ne nascono di nuovi, sempre più regno del trash, sempre più contestati e visti.
Prepariamoci, allora, ad una lunga serie di monologhi e baruffe d’innanzi alla luce rossa della telecamera in registrazione e della diretta.
Che qualcuno la spenga prima che Maria, Simona e Ciccio Graziani vincano il premio Nobel e impongano la loro egemonia incontrastata su questa nostra povera società