Adric
13-10-2005, 01:43
Mercoledì 12 Ottobre 2005
Cárdenas dirige da una prigione di massima sicurezza il più potente “cartel” sudamericano: suoi uomini «infiltrati nell’Fbi»
Si sospetta che abbia fatto uccidere i vertici antinarcos del suo paese.
di ROBERTO LIVI
Un boato, poi un bagliore che fende la nebbia attorno a Cerro (colle) San Miguel nel Messico centrale. Le squadre di soccorso trovano solo i resti dell’elicottero Bell 412 precipitato e i corpi calcinati del pilota e dei passeggeri. Fra questi i cadaveri di Ramón Martín Huerta e del generale Tomás Valencia. Ovvero dello ”zar“ antidroga e ministro della sicurezza pubblica e del comandante del vero e proprio esercito interforze composto dai 14.000 uomini provenienti dall’intelligence, dalla Forza di rapido intervento e da squadre speciali della polizia e distaccati a combattere il narcotraffico messicano. E’ il 21 settembre, e in un sol colpo si trova decapitato il vertice dell’antidroga federale, nominato soltanto lo scorso giugno. Il governo del presidente Fox si affretta a precisare che si tratta di un incidente.
Ben pochi in Messico ci credono. Ancor meno nel potente vicino del Nord, dove i responsabili della Dea, l’agenzia Usa antidroga, ritengono si sia trattato di un attentato organizzato da Osiel Cárdenas Guillén, il capo del cartel del Golfo, l’organizzazione ”vincente“ dei narcotrafficanti messicani.
Negli ultimi anni i narcos messicani hanno soppiantato i rivali colombiani. Meglio, la cocaina e l’eroina arrivano per nave dalla Colombia, ma poi vengono introdotte e smerciate negli States dalle organizzazioni messicane. «Il 90% della cocaina che circola negli Usa viene dal Messico. I cartelli messicani si sono concentrati sulla distribuzione, ovvero la parte più lucrativa dei 400 miliardi di dollari annui ”mossi“ dal commercio della droga» sostiene Antony Placido, agente della Dea. E continua. «I messicani offrono un menu variato di droghe, non solo coca o eroina come i colombiani. Sono i secondi ”fornitori“ di eroina e i primi di marijuana sul mercato statunitense. Ma hanno anche una rete di produzione di droghe sintetiche -anfetamine- con laboratori sia in Messico sia negli Usa».
Un flusso enorme di droga attraversa lo sterminato confine che va dall’Oceano Pacifico al Golfo del Messico. La Dea ha individuato 14 città americane usate come aree di distribuzione e ha scoperto 30 tunnel -«di tipo industriale, come delle miniere»- scavati sotto il confine. Ma come controllare il mare di automezzi (90 milioni di veicoli privati, 44 milioni di camion) e di persone (48 milioni di pedoni) che ogni anno attraversano il confine?
Il cartel de Tijuana a Ovest, il cartel de Juárez e la banda del Los Texas al centro, il cartel de Monterrey e il cartel del Golfo (quest’ultimo opera tra Nueva Laredo e Matamoros) sulle sponde del Golfo del Messico, sono le organizzazioni più grandi ed aggressive. Da anni si fanno una guerra senza quartiere per controllare il traffico delle droghe. In particolare, un’impressionante striscia di sangue si allunga dietro la carriera di Cárdenas, detto ”El mocha orejas” (mozza orecchie). All’inizio della sua ascesa, alla fine del secolo scorso, si era alleato col capo ( El Azul ) del cártel di Juárez per sconfiggere i rivali di Tijuana. Poi nel 2001 ha fatto filtrare a agenti dell’antidroga -risultati essere sul suo libro paga- informazioni sulle attività del cártel de Monterrey sbarazzandosi del boss, El Yeyo . Infine, ha messo in ginocchio i suoi ex alleati di Juárez ed è diventato ”il signore del Golfo“. Un boss ricchissimo, potente, al suo soldo vi sono i migliori studi legali del Paese, la sua organizzazione è presente in 13 Stati messicani e nella zona dove opera, tra Nuovo Laredo e Matamoros, poliziotti, giudici e funzionari sono sul suo libro paga. Un boss sanguinario. Il suoi pretoriani, Los Zetas , sono ex militari delle Forze speciali (Gafes) addestrati nelle scuole americane a Panama e nel Texas integrati da killer professisti del centramerica e degli Usa.
Per catturalo, nel 2003, truppe speciali federali hanno ingaggiato un sanguinosa battaglia con 50 Zetas . Ma una volta entrato nel carcere di massima sicurezza di La Palma, Cárdenas ha iniziato a organizzarsi per trasformarlo nella sua «residenza di sicurezza». Chi si oppone, funzionari civili e secondini, viene trovato morto. Con un colpo alla nuca. O scompare senza lasciar tracce. «Le guardie ca rcerarie si sono trasformate in garanti della sicurezza di Cárdenas. Gli forniscono armi, cellulari, droga e anche donne», denuncia un noto gio rnalista. Dal carcere, Cárdenas dirige il cartel del Golfo che «inonda di droga gli Stati Uniti». In una perquisizione alla sua cella condotta da guardie federali «è stata trovata anche la prova che la sua organizzazione ha infiltrato l’Fbi americana», ha denunciato Antonio Bernal Guerriero, della Commissione per i diritti dell’uomo dopo un’ispezione al carcere di La Palma. «Voy a matarte», gli aveva risposto in faccia Cardenas, il mocha orejas . Il corpo di Bernal Guerriero è tra quelli calcinati trovati al Cerro San Miguel.
(Il Messaggero)
Cárdenas dirige da una prigione di massima sicurezza il più potente “cartel” sudamericano: suoi uomini «infiltrati nell’Fbi»
Si sospetta che abbia fatto uccidere i vertici antinarcos del suo paese.
di ROBERTO LIVI
Un boato, poi un bagliore che fende la nebbia attorno a Cerro (colle) San Miguel nel Messico centrale. Le squadre di soccorso trovano solo i resti dell’elicottero Bell 412 precipitato e i corpi calcinati del pilota e dei passeggeri. Fra questi i cadaveri di Ramón Martín Huerta e del generale Tomás Valencia. Ovvero dello ”zar“ antidroga e ministro della sicurezza pubblica e del comandante del vero e proprio esercito interforze composto dai 14.000 uomini provenienti dall’intelligence, dalla Forza di rapido intervento e da squadre speciali della polizia e distaccati a combattere il narcotraffico messicano. E’ il 21 settembre, e in un sol colpo si trova decapitato il vertice dell’antidroga federale, nominato soltanto lo scorso giugno. Il governo del presidente Fox si affretta a precisare che si tratta di un incidente.
Ben pochi in Messico ci credono. Ancor meno nel potente vicino del Nord, dove i responsabili della Dea, l’agenzia Usa antidroga, ritengono si sia trattato di un attentato organizzato da Osiel Cárdenas Guillén, il capo del cartel del Golfo, l’organizzazione ”vincente“ dei narcotrafficanti messicani.
Negli ultimi anni i narcos messicani hanno soppiantato i rivali colombiani. Meglio, la cocaina e l’eroina arrivano per nave dalla Colombia, ma poi vengono introdotte e smerciate negli States dalle organizzazioni messicane. «Il 90% della cocaina che circola negli Usa viene dal Messico. I cartelli messicani si sono concentrati sulla distribuzione, ovvero la parte più lucrativa dei 400 miliardi di dollari annui ”mossi“ dal commercio della droga» sostiene Antony Placido, agente della Dea. E continua. «I messicani offrono un menu variato di droghe, non solo coca o eroina come i colombiani. Sono i secondi ”fornitori“ di eroina e i primi di marijuana sul mercato statunitense. Ma hanno anche una rete di produzione di droghe sintetiche -anfetamine- con laboratori sia in Messico sia negli Usa».
Un flusso enorme di droga attraversa lo sterminato confine che va dall’Oceano Pacifico al Golfo del Messico. La Dea ha individuato 14 città americane usate come aree di distribuzione e ha scoperto 30 tunnel -«di tipo industriale, come delle miniere»- scavati sotto il confine. Ma come controllare il mare di automezzi (90 milioni di veicoli privati, 44 milioni di camion) e di persone (48 milioni di pedoni) che ogni anno attraversano il confine?
Il cartel de Tijuana a Ovest, il cartel de Juárez e la banda del Los Texas al centro, il cartel de Monterrey e il cartel del Golfo (quest’ultimo opera tra Nueva Laredo e Matamoros) sulle sponde del Golfo del Messico, sono le organizzazioni più grandi ed aggressive. Da anni si fanno una guerra senza quartiere per controllare il traffico delle droghe. In particolare, un’impressionante striscia di sangue si allunga dietro la carriera di Cárdenas, detto ”El mocha orejas” (mozza orecchie). All’inizio della sua ascesa, alla fine del secolo scorso, si era alleato col capo ( El Azul ) del cártel di Juárez per sconfiggere i rivali di Tijuana. Poi nel 2001 ha fatto filtrare a agenti dell’antidroga -risultati essere sul suo libro paga- informazioni sulle attività del cártel de Monterrey sbarazzandosi del boss, El Yeyo . Infine, ha messo in ginocchio i suoi ex alleati di Juárez ed è diventato ”il signore del Golfo“. Un boss ricchissimo, potente, al suo soldo vi sono i migliori studi legali del Paese, la sua organizzazione è presente in 13 Stati messicani e nella zona dove opera, tra Nuovo Laredo e Matamoros, poliziotti, giudici e funzionari sono sul suo libro paga. Un boss sanguinario. Il suoi pretoriani, Los Zetas , sono ex militari delle Forze speciali (Gafes) addestrati nelle scuole americane a Panama e nel Texas integrati da killer professisti del centramerica e degli Usa.
Per catturalo, nel 2003, truppe speciali federali hanno ingaggiato un sanguinosa battaglia con 50 Zetas . Ma una volta entrato nel carcere di massima sicurezza di La Palma, Cárdenas ha iniziato a organizzarsi per trasformarlo nella sua «residenza di sicurezza». Chi si oppone, funzionari civili e secondini, viene trovato morto. Con un colpo alla nuca. O scompare senza lasciar tracce. «Le guardie ca rcerarie si sono trasformate in garanti della sicurezza di Cárdenas. Gli forniscono armi, cellulari, droga e anche donne», denuncia un noto gio rnalista. Dal carcere, Cárdenas dirige il cartel del Golfo che «inonda di droga gli Stati Uniti». In una perquisizione alla sua cella condotta da guardie federali «è stata trovata anche la prova che la sua organizzazione ha infiltrato l’Fbi americana», ha denunciato Antonio Bernal Guerriero, della Commissione per i diritti dell’uomo dopo un’ispezione al carcere di La Palma. «Voy a matarte», gli aveva risposto in faccia Cardenas, il mocha orejas . Il corpo di Bernal Guerriero è tra quelli calcinati trovati al Cerro San Miguel.
(Il Messaggero)