Adric
03-10-2005, 20:36
Lunedì 3 Ottobre 2005
«Ora stop ai pomodori dalla Cina»
L’Italia chiede di bloccare le importazioni temporanee di concentrato
di NANDO TASCIOTTI
ROMA «E’ indispensabile e urgente sospendere tutte le attuali e future autorizzazioni alle importazioni ”temporanee” di concentrato di pomodoro cinese». Oggi, a Bruxelles, i funzionari del governo italiano si presenteranno con questa drastica posizione alla riunione del Comitato dei regimi doganali dell’Ue. Il documento è appoggiato dalle organizzazioni dei produttori agricoli, che stanno cercando di coinvolgere anche le consorelle europee, e comincerà così un nuovo capitolo della ”guerra del pomodoro”, che non riguarderà però solo i rapporti Italia-Cina-Ue ma anche quelli tra agricoltori, commercializzatori e industrie di trasformazione.
Sotto accusa ora è il cosiddetto ”regime TPA” (traffico di perfezionamento attivo), insomma di ”temporanea importazione”: consente alle industrie italiane di importare concentrato di pomodoro cinese, di lavorarlo (diluendolo), e di rivenderlo nei paesi extra-europei. Così non pagano il dazio d’importazione, o ne pagano uno ridotto. Il semilavorato cinese arriva, in fusti, nei porti di Salerno e Napoli, e viene riesportato, in barattoli, soprattutto sui mercati africani e mediorientali.
Le cifre sono andate crescendo negli ultimi anni: nel 2004 dalla Cina abbiamo importato 157 mila tonnellate di concentrato di pomodoro (di cui 146 mila TPA, a 460 euro/tn), per un valore di oltre 72 milioni di euro, e nei primi sette mesi del 2005 si è già arrivati a 70 mila tonnellate in ”temporanea importazione”. «Ad una quantità in entrata deve corrispondere un equivalente quantitativo in uscita dal suolo italiano, con un diverso grado di concentrazione del prodotto; altrimenti le aziende devono pagare un dazio del 15 per cento sulla quota che resta in Italia», spiega Nicola Calzolaro, direttore dell’Anicav, l’associazione delle 150 industrie conserviere (ma quelle che lavorano tutto l’anno sul concentrato di pomodoro sono solo una decina). Ma perché importarlo dalla Cina? La risposta è la solita: «Costa molto meno».
Ma dopo il crollo-record nei prezzi registrato quest’anno sui campi italiani la maggiore convenienza del prodotto cinese è ora contestata e oggi, a Bruxelles, i funzionari del ministero delle Politiche agricole si presenteranno con una tabella per dimostrare che quest’anno il ”prodotto grezzo” cinese è costato un po’ di più di quello pagato agli agricoltori del nostro Sud. Il vero differenziale tra Italia e Cina è nei costi del lavoro e dell’energia, ma sarebbe annullato dai costi di trasporto a Salerno, dove sono le industrie di lavorazione del concentrato cinese.
Insomma, complessivamente, il concentrato cinese costerebbe quest’anno 0,4883 euro al chilo e quello del Sud Italia 0,4640; quindi, sostengono le associazioni agricole, non ci sarebbe convenienza a rivolgersi al mercato cinese. «In ogni caso precisa Vito Amendolara, direttore della Coldiretti in Campania dev’essere indicata la provenienza del prodotto, per non consentire ad altri di sfruttare il marchio del ”made in Italy”». E un primo risultato l’hanno già raggiunto: la denominazione ”passata di pomodoro” si può apporre infatti solo al prodotto ottenuto dalla spremitura di pomodoro fresco, e non quindi al concentrato che arriva dalla Cina.
Ma c’è anche il sospetto che una parte del prodotto che dovrebbe essere riesportato resti in Italia, e sia venduto nei nostri supermercati miscelato con i prodotti nostrani. «Negli ultimi anni ci sono state violazioni doganali di questo tipo, e sono scattate sanzioni per un paio di aziende», conferma un funzionario dell’Ispettorato repressione frodi. E stanno indagando anche i carabinieri: «Quest’anno dice un loro portavoce abbiamo già controllato 33 aziende, ma su questo versante non è emerso nulla di irregolare, anche perché ora sono impegnate su altri prodotti stagionali. Ma resteremo molto attenti».
Naturalmente, le industrie di lavorazione respingono i sospetti, e rilanciano: «Anche gli agricoltori devono porsi il problema dei costi e dei prezzi competitivi dice ancora Nicola Calzolaro, dell’Anicav E facciamo attenzione, tutti, a non allarmare i consumatori, con una campagna indiscriminata sull’”invasione di pomodori cinesi”, che deprimerebbe l’intero mercato italiano». E alcuni segnali sono eloquenti: alcune industrie del Napoletano hanno già cominciato a spostare gli impianti in Africa, per lavorare il concentrato cinese senza le restrizioni europee, e i cinesi stanno acquistando industrie in Francia e Spagna per invadere il mercato europeo anche con altri prodotti.
Insomma, su tutta la filiera del pomodoro «siamo tutti con le antenne dritte conclude Pierluigi Romiti, responsabile per ortofrutta e prezzi della Confagricoltura I controlli saranno ferrei sulle industrie ma anche sulle organizzazioni che commercializzano i prodotti, che stabiliscono le quantità da immettere sui mercati e quindi influenzano la formazione dei prezzi».
(Il Messaggero.it)
«Ora stop ai pomodori dalla Cina»
L’Italia chiede di bloccare le importazioni temporanee di concentrato
di NANDO TASCIOTTI
ROMA «E’ indispensabile e urgente sospendere tutte le attuali e future autorizzazioni alle importazioni ”temporanee” di concentrato di pomodoro cinese». Oggi, a Bruxelles, i funzionari del governo italiano si presenteranno con questa drastica posizione alla riunione del Comitato dei regimi doganali dell’Ue. Il documento è appoggiato dalle organizzazioni dei produttori agricoli, che stanno cercando di coinvolgere anche le consorelle europee, e comincerà così un nuovo capitolo della ”guerra del pomodoro”, che non riguarderà però solo i rapporti Italia-Cina-Ue ma anche quelli tra agricoltori, commercializzatori e industrie di trasformazione.
Sotto accusa ora è il cosiddetto ”regime TPA” (traffico di perfezionamento attivo), insomma di ”temporanea importazione”: consente alle industrie italiane di importare concentrato di pomodoro cinese, di lavorarlo (diluendolo), e di rivenderlo nei paesi extra-europei. Così non pagano il dazio d’importazione, o ne pagano uno ridotto. Il semilavorato cinese arriva, in fusti, nei porti di Salerno e Napoli, e viene riesportato, in barattoli, soprattutto sui mercati africani e mediorientali.
Le cifre sono andate crescendo negli ultimi anni: nel 2004 dalla Cina abbiamo importato 157 mila tonnellate di concentrato di pomodoro (di cui 146 mila TPA, a 460 euro/tn), per un valore di oltre 72 milioni di euro, e nei primi sette mesi del 2005 si è già arrivati a 70 mila tonnellate in ”temporanea importazione”. «Ad una quantità in entrata deve corrispondere un equivalente quantitativo in uscita dal suolo italiano, con un diverso grado di concentrazione del prodotto; altrimenti le aziende devono pagare un dazio del 15 per cento sulla quota che resta in Italia», spiega Nicola Calzolaro, direttore dell’Anicav, l’associazione delle 150 industrie conserviere (ma quelle che lavorano tutto l’anno sul concentrato di pomodoro sono solo una decina). Ma perché importarlo dalla Cina? La risposta è la solita: «Costa molto meno».
Ma dopo il crollo-record nei prezzi registrato quest’anno sui campi italiani la maggiore convenienza del prodotto cinese è ora contestata e oggi, a Bruxelles, i funzionari del ministero delle Politiche agricole si presenteranno con una tabella per dimostrare che quest’anno il ”prodotto grezzo” cinese è costato un po’ di più di quello pagato agli agricoltori del nostro Sud. Il vero differenziale tra Italia e Cina è nei costi del lavoro e dell’energia, ma sarebbe annullato dai costi di trasporto a Salerno, dove sono le industrie di lavorazione del concentrato cinese.
Insomma, complessivamente, il concentrato cinese costerebbe quest’anno 0,4883 euro al chilo e quello del Sud Italia 0,4640; quindi, sostengono le associazioni agricole, non ci sarebbe convenienza a rivolgersi al mercato cinese. «In ogni caso precisa Vito Amendolara, direttore della Coldiretti in Campania dev’essere indicata la provenienza del prodotto, per non consentire ad altri di sfruttare il marchio del ”made in Italy”». E un primo risultato l’hanno già raggiunto: la denominazione ”passata di pomodoro” si può apporre infatti solo al prodotto ottenuto dalla spremitura di pomodoro fresco, e non quindi al concentrato che arriva dalla Cina.
Ma c’è anche il sospetto che una parte del prodotto che dovrebbe essere riesportato resti in Italia, e sia venduto nei nostri supermercati miscelato con i prodotti nostrani. «Negli ultimi anni ci sono state violazioni doganali di questo tipo, e sono scattate sanzioni per un paio di aziende», conferma un funzionario dell’Ispettorato repressione frodi. E stanno indagando anche i carabinieri: «Quest’anno dice un loro portavoce abbiamo già controllato 33 aziende, ma su questo versante non è emerso nulla di irregolare, anche perché ora sono impegnate su altri prodotti stagionali. Ma resteremo molto attenti».
Naturalmente, le industrie di lavorazione respingono i sospetti, e rilanciano: «Anche gli agricoltori devono porsi il problema dei costi e dei prezzi competitivi dice ancora Nicola Calzolaro, dell’Anicav E facciamo attenzione, tutti, a non allarmare i consumatori, con una campagna indiscriminata sull’”invasione di pomodori cinesi”, che deprimerebbe l’intero mercato italiano». E alcuni segnali sono eloquenti: alcune industrie del Napoletano hanno già cominciato a spostare gli impianti in Africa, per lavorare il concentrato cinese senza le restrizioni europee, e i cinesi stanno acquistando industrie in Francia e Spagna per invadere il mercato europeo anche con altri prodotti.
Insomma, su tutta la filiera del pomodoro «siamo tutti con le antenne dritte conclude Pierluigi Romiti, responsabile per ortofrutta e prezzi della Confagricoltura I controlli saranno ferrei sulle industrie ma anche sulle organizzazioni che commercializzano i prodotti, che stabiliscono le quantità da immettere sui mercati e quindi influenzano la formazione dei prezzi».
(Il Messaggero.it)