Adric
03-10-2005, 20:24
Lunedì 3 Ottobre 2005
Piercing, il rischio è l’epatite C
Anelli e disegni sul corpo primo veicolo di infezione tra i giovani
di CARLA MASSI
ROMA - «Non è accettabile che si vadano a cercare l’infezione da epatite C quando è stato fatto tutto per azzerare il rischio di contagio. Le trasfusioni, dagli anni Novanta, sono diventate sicure e la diffusione dell’Aids ha convinto i ragazzi a non scambiarsi più le siringhe. Oggi, questa moda di piercing e tatuaggi è diventata la prima causa di infezione tra i giovanissimi. Incredibile». Antonio Ascione è il direttore dell’Unità complessa di Epatologia all’ospedale Cardarelli di Napoli. Dice di non voler seminare terrore tra i ragazzi ma ripete che non è assolutamente accettabile che, per una sorta di gioco, mettano a repentaglio la loro salute.
Nel mirino, c’è quella fascia di popolazione che va dai 16 ai 25 anni. Quella, appunto, che potrebbe essere considerata al riparo dal contagio dal momento che le trasfusioni sono più sicure, non hanno mediamente interventi chirurgici importanti e, nel caso, siano tossicodipendenti non si scambiano più le siringhe. Non è un caso, infatti, che le persone maggiormente colpite da virus abbiano, mediamente, tra i 45 e i 70 anni. «Sono entrati in contatto con il virus - aggiunge Ascione che fa parte del gruppo di lavoro sull’epatite C dell’Istituto superiore di sanità - anche trent’anni fa. Quando in alcune parti d’Italia si facevano ancora le iniezioni con la siringa di vetro, quando le sale parto non erano sempre sterilizzate al meglio, quando le trasfusioni erano possibile veicolo di infezioni. E oggi si vedono le conseguenze. Persone che per tantissimo tempo non hanno avuto sintomi e, in tarda età, hanno scoperto di essere stati infettati. Quando, purtroppo, era troppo tardi per affrontare i danni».
Per questo, gli epatologi, consigliano a chi pensa di poter essere stato infettato (il virus si passa attraverso il sangue, bassissima per via sessuale, no con la saliva) di sottoporsi ad un test. In modo di intervenire con largo anticipo sui sintomi.
I tatuaggi e i piercing fatti in luoghi non sicuri e non attrezzati sotto il profilo igienico, dunque, come strada privilegiata per l’infezione tra i giovani. «Si potrebbe ipotizzare la riduzione del peso dell’epatite C - commenta Mario Angelico, cattedra di Gastroenterologia, dipartimento Sanità Pubblica dell’università Tor Vergata di Roma - sulla salute della popolazione seguendo due strade. La prima riducendo ai minimi termini la diffusione della malattia attraverso un maggiore controllo delle categorie a rischio, soprattutto per quanto riguarda la pratica del body piercing e dei attuaggi di gran moda tra gli adolescenti. La seconda da percorrere è l’utilizzo ottimale degli strumenti terapeutici che oggi consentono di poter eradicare il virus in percentuali maggiori rispetto al passato». Eppure, un ricerca condotta da Codres-Proforma, presentata a Roma durante il congresso sugli avanzamenti delle terapie contro le malattie del fegato da infezioni virali, dimostra che almeno il 50% degli italiani conosce l’epatite C. Sa parlare dei veicoli di trasmissione ma è convinto che non sia possibile guarire da questa malattia. «Uno dei principali studi condotti, l’Hadziyannis, che ha arruolato più di 1300 pazienti e che ha visto una larga partecipazione italiana ha dimostrato l’efficacia dell’interferone peghilato alf 2a associato alla ribavirina nell’eliminare il virus dal sangue e, quindi, di fatto nel guarire il 63% dei casi».
(Il Messaggero.it)
Piercing, il rischio è l’epatite C
Anelli e disegni sul corpo primo veicolo di infezione tra i giovani
di CARLA MASSI
ROMA - «Non è accettabile che si vadano a cercare l’infezione da epatite C quando è stato fatto tutto per azzerare il rischio di contagio. Le trasfusioni, dagli anni Novanta, sono diventate sicure e la diffusione dell’Aids ha convinto i ragazzi a non scambiarsi più le siringhe. Oggi, questa moda di piercing e tatuaggi è diventata la prima causa di infezione tra i giovanissimi. Incredibile». Antonio Ascione è il direttore dell’Unità complessa di Epatologia all’ospedale Cardarelli di Napoli. Dice di non voler seminare terrore tra i ragazzi ma ripete che non è assolutamente accettabile che, per una sorta di gioco, mettano a repentaglio la loro salute.
Nel mirino, c’è quella fascia di popolazione che va dai 16 ai 25 anni. Quella, appunto, che potrebbe essere considerata al riparo dal contagio dal momento che le trasfusioni sono più sicure, non hanno mediamente interventi chirurgici importanti e, nel caso, siano tossicodipendenti non si scambiano più le siringhe. Non è un caso, infatti, che le persone maggiormente colpite da virus abbiano, mediamente, tra i 45 e i 70 anni. «Sono entrati in contatto con il virus - aggiunge Ascione che fa parte del gruppo di lavoro sull’epatite C dell’Istituto superiore di sanità - anche trent’anni fa. Quando in alcune parti d’Italia si facevano ancora le iniezioni con la siringa di vetro, quando le sale parto non erano sempre sterilizzate al meglio, quando le trasfusioni erano possibile veicolo di infezioni. E oggi si vedono le conseguenze. Persone che per tantissimo tempo non hanno avuto sintomi e, in tarda età, hanno scoperto di essere stati infettati. Quando, purtroppo, era troppo tardi per affrontare i danni».
Per questo, gli epatologi, consigliano a chi pensa di poter essere stato infettato (il virus si passa attraverso il sangue, bassissima per via sessuale, no con la saliva) di sottoporsi ad un test. In modo di intervenire con largo anticipo sui sintomi.
I tatuaggi e i piercing fatti in luoghi non sicuri e non attrezzati sotto il profilo igienico, dunque, come strada privilegiata per l’infezione tra i giovani. «Si potrebbe ipotizzare la riduzione del peso dell’epatite C - commenta Mario Angelico, cattedra di Gastroenterologia, dipartimento Sanità Pubblica dell’università Tor Vergata di Roma - sulla salute della popolazione seguendo due strade. La prima riducendo ai minimi termini la diffusione della malattia attraverso un maggiore controllo delle categorie a rischio, soprattutto per quanto riguarda la pratica del body piercing e dei attuaggi di gran moda tra gli adolescenti. La seconda da percorrere è l’utilizzo ottimale degli strumenti terapeutici che oggi consentono di poter eradicare il virus in percentuali maggiori rispetto al passato». Eppure, un ricerca condotta da Codres-Proforma, presentata a Roma durante il congresso sugli avanzamenti delle terapie contro le malattie del fegato da infezioni virali, dimostra che almeno il 50% degli italiani conosce l’epatite C. Sa parlare dei veicoli di trasmissione ma è convinto che non sia possibile guarire da questa malattia. «Uno dei principali studi condotti, l’Hadziyannis, che ha arruolato più di 1300 pazienti e che ha visto una larga partecipazione italiana ha dimostrato l’efficacia dell’interferone peghilato alf 2a associato alla ribavirina nell’eliminare il virus dal sangue e, quindi, di fatto nel guarire il 63% dei casi».
(Il Messaggero.it)