Adric
21-09-2005, 22:34
L’illuminismo è morto?
Mercoledì 21 Settembre 2005
Caro Signor Gervaso, non so se ha seguito su alcuni giornali il dibattito sul Sessantotto e l'illuminismo. Secondo certi storici, se il Sessantotto affondava le radici nell'illuminismo ed è fallito, anche il più importante movimento filosofico, politico e culturale del Settecento ne avrebbe seguito le sorti. Io penso che l'illuminismo sia ancora vivo, ma che la mancata secolarizzazione della società, almeno nei Paesi di tradizione latina, con esclusione, forse, della Francia, lo abbia un po' messo in crisi. E ancora, se mi consente, una domanda: qual è stato il ruolo di Voltaire in quel rivoluzionario processo che fu l'illuminismo, di cui sarebbe difficile, oltre che ingiusto, disconoscere i grandi meriti nella nascita e nello sviluppo della borghesia, non solo francese?
Ercole Goria - Perugia
Io, forse sbagliando, non vedo un nesso, diciamo così, sostanziale, fra l'illuminismo e la contestazione che mise a soqquadro la società occidentale nello scorcio degli anni Sessanta. Non vedo che cosa Capanna, quando capeggiava il movimento studentesco, avesse in comune con Voltaire. E' come paragonare il colle Oppio all'Everest. E poi dubito, dubito fortemente, che il nostalgico della rivolta contro le istituzioni scolastiche e le gerarchie accademiche avesse mai letto il "Dizionario filosofico" o il "Trattato sulla tolleranza" del patriarca di Ferney.
Lei mi obietterà che entrambi i movimenti si battevano per l'uguaglianza. No, caro amico: se per l'uguaglianza intesa come pari opportunità per tutti i cittadini, trattati fin allora come sudditi, si batté, e quanto, l'illuminismo, la contestazione inalberò con protervia mazze da baseball e chiavi inglesi in nome dell'egualitarismo, eguaglianza autoritaria imposta ai popoli dai regimi dittatoriali e liberticidi per legittimarsi agli occhi dei gonzi.
Ma per Voltaire, come per Diderot e d'Alembert, fondatori di quella formidabile Bibbia del pensiero laico e moderno e del sapere universale che fu l'Enciclopedia, gli uomini erano uguali solo davanti alla legge, che non è mai stata uguale per tutti. Nobiltà e clero potevano interpretarla e manipolarla a loro uso e consumo. Mentre il terzo Stato, la borghesia, e il popolo erano in balia di chi doveva farla rispettare. Ma chi doveva farla rispettare, a sua volta, dipendeva dall'establishment aristocratico ed ecclesiastico che aveva a cuore e tutelava solo i propri interessi.
L'uguaglianza di fronte alla legge, conquistata, almeno sulla carta, con la rivoluzione dell'89, fu la bandiera e l'arma dei giacobini, che ebbero in Robespierre il loro sanguinario campione, il loro incorruttibile serial killer, il loro mostro azzimato. La presa della Bastiglia, e quel che ne seguì, portò al rovesciamento di un regime inetto e infetto. Ma se i nuovi padroni, non meno dispotici dei predecessori, e ben più risoluti, non fossero stati sconfitti, la Francia sarebbe diventata un mattatoio e un lager, più di quanto non lo fosse stata imperante l'avvocato di Arras.
Certamente molti privilegi inauditi e scandalosi cessarono, non si commisero più gli enormi abusi, le abominevoli vassallate dell'ancien régime. La nobiltà, quella sopravvissuta alla scure del boia, alla lama della ghigliottina, non ebbe più voce in capitolo e il clero, volente o nolente, dovette abbassare la cresta e ritirarsi in buon ordine nelle chiese e nei conventi. La borghesia prese in pugno la situazione e le redini del comando e la Francia assurse finalmente al rango di nazione moderna. L'illuminismo aveva preparato il terreno e questa fu la sua grande benemerenza, il suo maggior titolo di nobiltà.
Il Paese fu più libero e più uguale, ma non così libero da poter fare i propri comodi, e non così uguale da mettere sullo stesso piano i bravi e i somari, i meritevoli e gli indegni. Le differenze restarono, ma tutti, o quasi, avevano ormai la possibilità di emanciparsi e far carriera, assurgendo ai più alti gradi della pubblica amministrazione, non più esclusiva di nobili e preti.
Il Sessantotto fu tutta un'altra cosa, suonò su strumenti logori e screditati, come le ideologie, tutt'altra musica. Il merito, lungi dall'essere riconosciuto, fu additato al pubblico ludibrio. I somari vennero equiparati ai bravi e nelle università il diciotto o il ventisette politico legittimò le più assurde pretese e le più sfrontate rivendicazioni di chi senza fatica, solo alzando la voce nelle assemblee, aveva ottenuto quello che non gli spettava.
Il Sessantotto fu una moda; l'illuminismo una coraggiosa rivolta contro il vecchio ordine costituito, uno straordinario movimento di progresso e di civiltà, una delle pagine più alte e perenni della storia dell'uomo.
Roberto Gervaso
(da A tu per tu - Il Messaggero)
Mercoledì 21 Settembre 2005
Caro Signor Gervaso, non so se ha seguito su alcuni giornali il dibattito sul Sessantotto e l'illuminismo. Secondo certi storici, se il Sessantotto affondava le radici nell'illuminismo ed è fallito, anche il più importante movimento filosofico, politico e culturale del Settecento ne avrebbe seguito le sorti. Io penso che l'illuminismo sia ancora vivo, ma che la mancata secolarizzazione della società, almeno nei Paesi di tradizione latina, con esclusione, forse, della Francia, lo abbia un po' messo in crisi. E ancora, se mi consente, una domanda: qual è stato il ruolo di Voltaire in quel rivoluzionario processo che fu l'illuminismo, di cui sarebbe difficile, oltre che ingiusto, disconoscere i grandi meriti nella nascita e nello sviluppo della borghesia, non solo francese?
Ercole Goria - Perugia
Io, forse sbagliando, non vedo un nesso, diciamo così, sostanziale, fra l'illuminismo e la contestazione che mise a soqquadro la società occidentale nello scorcio degli anni Sessanta. Non vedo che cosa Capanna, quando capeggiava il movimento studentesco, avesse in comune con Voltaire. E' come paragonare il colle Oppio all'Everest. E poi dubito, dubito fortemente, che il nostalgico della rivolta contro le istituzioni scolastiche e le gerarchie accademiche avesse mai letto il "Dizionario filosofico" o il "Trattato sulla tolleranza" del patriarca di Ferney.
Lei mi obietterà che entrambi i movimenti si battevano per l'uguaglianza. No, caro amico: se per l'uguaglianza intesa come pari opportunità per tutti i cittadini, trattati fin allora come sudditi, si batté, e quanto, l'illuminismo, la contestazione inalberò con protervia mazze da baseball e chiavi inglesi in nome dell'egualitarismo, eguaglianza autoritaria imposta ai popoli dai regimi dittatoriali e liberticidi per legittimarsi agli occhi dei gonzi.
Ma per Voltaire, come per Diderot e d'Alembert, fondatori di quella formidabile Bibbia del pensiero laico e moderno e del sapere universale che fu l'Enciclopedia, gli uomini erano uguali solo davanti alla legge, che non è mai stata uguale per tutti. Nobiltà e clero potevano interpretarla e manipolarla a loro uso e consumo. Mentre il terzo Stato, la borghesia, e il popolo erano in balia di chi doveva farla rispettare. Ma chi doveva farla rispettare, a sua volta, dipendeva dall'establishment aristocratico ed ecclesiastico che aveva a cuore e tutelava solo i propri interessi.
L'uguaglianza di fronte alla legge, conquistata, almeno sulla carta, con la rivoluzione dell'89, fu la bandiera e l'arma dei giacobini, che ebbero in Robespierre il loro sanguinario campione, il loro incorruttibile serial killer, il loro mostro azzimato. La presa della Bastiglia, e quel che ne seguì, portò al rovesciamento di un regime inetto e infetto. Ma se i nuovi padroni, non meno dispotici dei predecessori, e ben più risoluti, non fossero stati sconfitti, la Francia sarebbe diventata un mattatoio e un lager, più di quanto non lo fosse stata imperante l'avvocato di Arras.
Certamente molti privilegi inauditi e scandalosi cessarono, non si commisero più gli enormi abusi, le abominevoli vassallate dell'ancien régime. La nobiltà, quella sopravvissuta alla scure del boia, alla lama della ghigliottina, non ebbe più voce in capitolo e il clero, volente o nolente, dovette abbassare la cresta e ritirarsi in buon ordine nelle chiese e nei conventi. La borghesia prese in pugno la situazione e le redini del comando e la Francia assurse finalmente al rango di nazione moderna. L'illuminismo aveva preparato il terreno e questa fu la sua grande benemerenza, il suo maggior titolo di nobiltà.
Il Paese fu più libero e più uguale, ma non così libero da poter fare i propri comodi, e non così uguale da mettere sullo stesso piano i bravi e i somari, i meritevoli e gli indegni. Le differenze restarono, ma tutti, o quasi, avevano ormai la possibilità di emanciparsi e far carriera, assurgendo ai più alti gradi della pubblica amministrazione, non più esclusiva di nobili e preti.
Il Sessantotto fu tutta un'altra cosa, suonò su strumenti logori e screditati, come le ideologie, tutt'altra musica. Il merito, lungi dall'essere riconosciuto, fu additato al pubblico ludibrio. I somari vennero equiparati ai bravi e nelle università il diciotto o il ventisette politico legittimò le più assurde pretese e le più sfrontate rivendicazioni di chi senza fatica, solo alzando la voce nelle assemblee, aveva ottenuto quello che non gli spettava.
Il Sessantotto fu una moda; l'illuminismo una coraggiosa rivolta contro il vecchio ordine costituito, uno straordinario movimento di progresso e di civiltà, una delle pagine più alte e perenni della storia dell'uomo.
Roberto Gervaso
(da A tu per tu - Il Messaggero)