Zebiwe
17-09-2005, 11:31
Ma è difficile che il taglio passi
Austerity per i politici? Tremano anche i «grand commis» (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2005/09_Settembre/17/politici.shtml)
La proposta di «limare» il reddito dei parlamentari scatena le reazioni. Palma (FI): intervenire anche sui vertici dei ministeri
ROMA - In pieno agosto, mentre l'argomento preferito di conversazione dei parlamentari in vacanza era il destino del governatore di Bankitalia Antonio Fazio, il sindaco di Lecce Adriana Poli Bortone li ha colpiti a freddo: «Tagliamo del 10% gli stipendi dei politici». Forse consapevole di averla sparata grossa, ha aggiunto che persino il leader del suo partito, Gianfranco Fini, era d'accordo. E il bello è che alle parole l'ex ministro dell'Agricoltura ha fatto seguire i fatti, autoriducendosi lo stipendio di eurodeputata, appunto, di un bel 10%. Recidiva, Adriana Poli Bortone. Il taglio degli emolumenti dei politici l'aveva infatti già chiesto un anno fa. Anche se la sua proposta era caduta nel vuoto. Ed è fin troppo ovvio il perché.
Come gli aumenti di stipendio di deputati e senatori, che sono legati per legge a quelli dei magistrati della Cassazione, vengono regolarmente ratificati dal Parlamento in cinque minuti e con maggioranze bulgare, così ogni tentativo di riduzione ha sempre incontrato ostacoli insormontabili. E' quindi bastata una indiscrezione sulla possibile introduzione di un taglio del 10% degli stipendi dei parlamentari nella prossima Finanziaria per provocare una immediata levata di scudi e, soprattutto, una smentita del Tesoro. Tutto, insomma, secondo copione. Toccare le indennità dei politici, del resto, non è mai stato uno sport molto popolare. Nemmeno negli anni più duri.
Basta ricordare che nel 1994 il leghista Domenico Comino, allora ministro delle Politiche comunitarie, propose di dimezzare i compensi degli europarlamentari. E appena sei mesi dopo il suo collega di partito Luigi Roveda presentò un emendamento per ripristinare le agevolazioni fiscali di cui deputati e senatori erano stati appena privati. Due anni dopo toccò a Lino Duilio, del Ppi, proporre un taglio non del 10, ma del 5% dello stipendio. Meritò una notizia d'agenzia e nulla più. In compenso, nel 1999 il governo di Massimo D'Alema fece approvare in un baleno una legge di tre articoli che equiparava all'indennità parlamentare gli stipendi di ministri e sottosegretari non parlamentari. Quattro miliardi 494 milioni di vecchie lire l'anno in più a carico delle casse pubbliche. Forse soltanto una goccia nel mare. Ma che goccia. All'epoca dei fatti le critiche a quel provvedimento vennero bollate come «demagogiche». E lo stesso argomento viene utilizzato oggi. Per credere, ascoltare Francesco Nitto Palma: «Prendo atto del nobile intendimento del ministro Domenico Siniscalco di risolvere i problemi economici del Paese riducendo l'indennità dei parlamentari, realizzando in questo modo un'azione gradita ai cittadini per la sua portata demagogica... »
E demagogia per demagogia, il deputato di Forza Italia chiede al ministro «se non intenda soffermare la propria attenzione sugli stipendi che percepiscono i capi dei dipartimenti dei ministeri, a cominciare da quello che lui presiede». Palma parla a ragion veduta. Perché con la riforma della dirigenza gli stipendi dei manager pubblici sono letteralmente lievitati come la panna montata. Anche in virtù del fatto che alcuni altissimi dirigenti statali sono stati assunti dal privato. Dove la retribuzione è corrispondente al grado. Ha raccontato l'ex Ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio, non senza una vena di amarezza:«Quando sono andato via, perché non c' erano più le condizioni per restare, al mio giovane successore hanno dato tre volte quello che davano a me, che guadagnavo 400 milioni di lire». Tre volte tanto significa un miliardo 200 milioni: circa 600 mila euro. Monorchio si riferiva a Vittorio Grilli, ora elevato al rango di direttore generale del Tesoro: incarico occupato, fino al 15 luglio dello scorso anno, dall'attuale ministro Siniscalco. Al quale toccava, come numero uno della burocrazia del ministero più prestigioso, una retribuzione analoga. Si favoleggia di 500 mila euro l'anno, più la parte variabile legata al raggiungimento dei risultati. E cifre simili spetterebbero anche agli altri superburocrati dei ministeri, come i capi delle Agenzie fiscali. Ora però Siniscalco è ministro e quindi, a rigor di logica gli spetta, come ha stabilito la leggina fatta dal governo D'Alema, una retribuzione equiparata all'indennità parlamentare. E riducendo quella taglierebbe anche il suo stipendio. Nella storia della pubblica amministrazione sarebbe forse la prima volta.
Demagogico o no a me farebbe piacere una cosa del genere: un piccolo segno che farebbe bene al paese, no?
Voi che ne dite?
Austerity per i politici? Tremano anche i «grand commis» (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2005/09_Settembre/17/politici.shtml)
La proposta di «limare» il reddito dei parlamentari scatena le reazioni. Palma (FI): intervenire anche sui vertici dei ministeri
ROMA - In pieno agosto, mentre l'argomento preferito di conversazione dei parlamentari in vacanza era il destino del governatore di Bankitalia Antonio Fazio, il sindaco di Lecce Adriana Poli Bortone li ha colpiti a freddo: «Tagliamo del 10% gli stipendi dei politici». Forse consapevole di averla sparata grossa, ha aggiunto che persino il leader del suo partito, Gianfranco Fini, era d'accordo. E il bello è che alle parole l'ex ministro dell'Agricoltura ha fatto seguire i fatti, autoriducendosi lo stipendio di eurodeputata, appunto, di un bel 10%. Recidiva, Adriana Poli Bortone. Il taglio degli emolumenti dei politici l'aveva infatti già chiesto un anno fa. Anche se la sua proposta era caduta nel vuoto. Ed è fin troppo ovvio il perché.
Come gli aumenti di stipendio di deputati e senatori, che sono legati per legge a quelli dei magistrati della Cassazione, vengono regolarmente ratificati dal Parlamento in cinque minuti e con maggioranze bulgare, così ogni tentativo di riduzione ha sempre incontrato ostacoli insormontabili. E' quindi bastata una indiscrezione sulla possibile introduzione di un taglio del 10% degli stipendi dei parlamentari nella prossima Finanziaria per provocare una immediata levata di scudi e, soprattutto, una smentita del Tesoro. Tutto, insomma, secondo copione. Toccare le indennità dei politici, del resto, non è mai stato uno sport molto popolare. Nemmeno negli anni più duri.
Basta ricordare che nel 1994 il leghista Domenico Comino, allora ministro delle Politiche comunitarie, propose di dimezzare i compensi degli europarlamentari. E appena sei mesi dopo il suo collega di partito Luigi Roveda presentò un emendamento per ripristinare le agevolazioni fiscali di cui deputati e senatori erano stati appena privati. Due anni dopo toccò a Lino Duilio, del Ppi, proporre un taglio non del 10, ma del 5% dello stipendio. Meritò una notizia d'agenzia e nulla più. In compenso, nel 1999 il governo di Massimo D'Alema fece approvare in un baleno una legge di tre articoli che equiparava all'indennità parlamentare gli stipendi di ministri e sottosegretari non parlamentari. Quattro miliardi 494 milioni di vecchie lire l'anno in più a carico delle casse pubbliche. Forse soltanto una goccia nel mare. Ma che goccia. All'epoca dei fatti le critiche a quel provvedimento vennero bollate come «demagogiche». E lo stesso argomento viene utilizzato oggi. Per credere, ascoltare Francesco Nitto Palma: «Prendo atto del nobile intendimento del ministro Domenico Siniscalco di risolvere i problemi economici del Paese riducendo l'indennità dei parlamentari, realizzando in questo modo un'azione gradita ai cittadini per la sua portata demagogica... »
E demagogia per demagogia, il deputato di Forza Italia chiede al ministro «se non intenda soffermare la propria attenzione sugli stipendi che percepiscono i capi dei dipartimenti dei ministeri, a cominciare da quello che lui presiede». Palma parla a ragion veduta. Perché con la riforma della dirigenza gli stipendi dei manager pubblici sono letteralmente lievitati come la panna montata. Anche in virtù del fatto che alcuni altissimi dirigenti statali sono stati assunti dal privato. Dove la retribuzione è corrispondente al grado. Ha raccontato l'ex Ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio, non senza una vena di amarezza:«Quando sono andato via, perché non c' erano più le condizioni per restare, al mio giovane successore hanno dato tre volte quello che davano a me, che guadagnavo 400 milioni di lire». Tre volte tanto significa un miliardo 200 milioni: circa 600 mila euro. Monorchio si riferiva a Vittorio Grilli, ora elevato al rango di direttore generale del Tesoro: incarico occupato, fino al 15 luglio dello scorso anno, dall'attuale ministro Siniscalco. Al quale toccava, come numero uno della burocrazia del ministero più prestigioso, una retribuzione analoga. Si favoleggia di 500 mila euro l'anno, più la parte variabile legata al raggiungimento dei risultati. E cifre simili spetterebbero anche agli altri superburocrati dei ministeri, come i capi delle Agenzie fiscali. Ora però Siniscalco è ministro e quindi, a rigor di logica gli spetta, come ha stabilito la leggina fatta dal governo D'Alema, una retribuzione equiparata all'indennità parlamentare. E riducendo quella taglierebbe anche il suo stipendio. Nella storia della pubblica amministrazione sarebbe forse la prima volta.
Demagogico o no a me farebbe piacere una cosa del genere: un piccolo segno che farebbe bene al paese, no?
Voi che ne dite?