songoge
09-09-2005, 15:23
Cina, terra di martirio
L’Europa si muove per porre fine alla persecuzione dei cattolici
di Giulio Ferrari
Che appartenga alla Chiesa clandestina o a quella “patriottica”, riconosciuta e controllata da Pechino, qualsiasi cinese può pagare a caro prezzo la sua fede cattolica e soprattutto la fedeltà al Papa. E’ per questo che ieri Benedetto XVI non ha fatto distinzioni nel nominare 4 vescovi cinesi quali membri della XI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, che si terrà in Vaticano nel prossimo mese di ottobre, tre dei quali appartengono appunto alla Chiesa “ammessa”. Ed è sempre a causa di questa persecuzione che proprio ieri, con singolare tempismo rispetto alla decisione della Santa Sede, il parlamento europeo ha approvato una mozione sulle discriminazioni e la repressione religiosa in Cina.
In particolare, la mozione evidenzia il “lungo periodo” di oppressione subito dai fedeli cattolici costretti alla clandestinità. L’Europarlamento ha quindi fatto appello alla Commissione e al Consiglio Ue, così come agli Stati membri, perchè sollevino “la questione delle persecuzioni dei cristiani cinesi” nei loro contatti con il governo di Pechino. Nella mozione si reclamano inoltre informazioni su tanti vescovi e sacerdoti cinesi “desaparecidos”.
Se il Parlamento europeo ha fatto niente più del suo dovere, la decisione del Pontefice invece potrebbe apparire persino scandalosa a chi è ignaro della situazione cinese. Possibile che Papa Ratzinger abbia interpellato dei prelati di “osservanza governativa” mentre in Cina milioni di fedeli testimoniano la loro lealtà a Roma e al Papato con la rischiosa appartenenza alla “Chiesa sotterranea”? Obiezione legittima, se non fosse che negli ultimi tempi la situazione delle “Chiese” cinesi è cambiata molto rispetto a quella pensata da Mao-Tse-Tung negli anni Cinquanta. Il sanguinario dittatore comunista eliminò materialmente, con un gran numero di cristiani, anche la stessa struttura cattolica e per impedire che rinascesse nelle catacombe ne inventò un’altra, sottomessa al partito. Mao non aveva fatto i conti con quello che Pio IX definì “marchio distintivo” della fede cattolica: il dono sovrannaturale di rinvigorire nella persecuzione.
Per oltre mezzo secolo i credenti cinesi hanno continuato a professare la dottrina di Cristo e praticare la religione nascostamente, incuranti delle eliminazioni e delle deportazioni in carceri, manicomi e lager. Alla fine, sono diventati un esempio anche per i membri della cosiddetta Chiesa cattolica patriottica. Persino i vescovi “ufficiali”, nominati da Pechino in virtù della loro fedeltà al governo, sono stati conquistati dalla fede testimoniata sino al martirio. Oggi Asia News, l’agenzia missionaria diretta da padre Bernardo Cervellera, calcola che l’85% dei vescovi “patriottici” sia segretamente riconciliato con Roma. Smacco clamoroso per quel che resta del Partito comunista cinese, ora riconvertito a uno sfrenato liberismo di stampo ottocentesco, che non può certo “scomunicare” pubblicamente i suoi vescovi accusandoli di essere troppo cattolici, poichè comprensibilmente rischierebbe di far perdere ogni residua credibilità alla Chiesa ufficiale. Restano le maniere forti, che Pechino riesce a impiegare senza troppo chiasso, visto che ha il controllo assoluto di tutti gli organi di informazione.
Capita così che i vescovi patriottici “infedeli” finiscano per condividere la sorte di quelli clandestini, scomparendo improvvisamente nel nulla anche per qualche decina d’anni. E non si tratta di esilio dorato, ma di ricoveri coatti in istituti sanitari dove gli sventurati vengono sottoposti a lavaggio del cervello e torture psichiche, oppure del carcere duro dove, per le condizioni disumane di detenzione, tutti contraggono gravi malattie. E’ questo il caso di alcuni dei vescovi cinesi che, seppur formalmente patriottici, Benedetto XVI vorrebbe al prossimo Sinodo sull’Eucarestia. Fra i 36 prelati nominati dal Papa vi sono infatti mons. Antonio Li Duan, arcivescovo di Xian e mons. Luigi Jin Luxian, vescovo di Shanghai, entrambi riconosciuti dal governo; mons. Giuseppe Wei Jingyi, vescovo di Qiqihar, non riconosciuto dal governo e mons. Luca Li Jingfeng, vescovo di Fengxiang (Shaanxi), riconosciuto dal governo solo poco tempo fa. Ad accomunarli non è soltanto il gradimento di Benedetto XVI, segno che i “patriottici” hanno avuto modo di chiarire la loro posizione con la Santa Sede e tornare nella comunione con Roma, ma anche il gran merito della persecuzione sofferta per amore della Chiesa. Mons. Li Duan, che viene definito dall’agenzia Asia News “grande campione di fede”, è nato nel ’27 e ha conosciuto a più riprese le carceri cinese: dal ’54 al ’57, dal ’58 al ’60, dal ’66 al ’79. Pur malato di cancro continua con l’abnegazione di sempre la propria missione pastorale.
Mons. Aloysius Jin Luxian, nato nel 1916, altro vescovo “governativo” che ha chiesto e ottenuto la comunione con Roma, ha passato 18 anni in carcere e 9 al confino in campi di rieducazione. Per i prelati della Chiesa patriottica che sgarrano, Pechino ha in serbo un trattamento del tutto simile a quello dei vescovi e dei preti clandestini. Quello, ad esempio, riservato a mons. Giuseppe Wei Jingyi, un’altro dei presuli cinesi che Benedetto XVI ha chiamato al Sinodo. Mons. Jingyi, che ha 47 anni, è stato messo ai lavori forzati dall’’87 all’’89 e dal ’90 al ’92.
Benedetto XVI ora confida che il governo cinese consenta ai quattro vescovi di partecipare al Sinodo. Sarebbe un gesto importante di apertura di forte impatto mediatico per l’opinione pubblica mondiale ma è ancora tutto da vedere se il miglioramento delle relazioni col Vaticano comporterà un’attenuazione della repressione anticattolica in Cina. Per il momento la vita religiosa dei cristiani resta segnata dalle “retate” della polizia politica, dalle detenzioni senza processo e dalle sparizioni. La lista dei vescovi scomparsi pubblicata in questa pagina, divulgata nell’ambito di una iniziativa di solidarietà da Asia News, è affiancata da quella non meno lunga dei prelati incarcerati o sottoposti a lavaggio del cervello.
Analoga sorte riguarda i cinesi finiti in un lungo elenco di semplici preti e fedeli. Nella Cina magnificata da Romano Prodi e Luca Cordero di Montezemolo si può finire come padre Lu Xiaozhou, della diocesi di Wenzhou, da anni dietro le sbarre perchè sorpreso a dare l’estrema unzione a un moribondo. O come tre sacerdoti della diocesi di Baoding, tutti condannati ai lavori forzati per aver celebrato le funzioni pasquali. O, ancora, come una donna della diocesi di Fhuzhou, arrestata per aver fatto la cuoca nel seminario sotterraneo di Ch’angle. Al di là delle manfrine diplomatiche per incantare l’Occidente, questa è la vera Cina. E anche Benedetto XVI dovrà fare i conti con il Paese che ha snobbato i funerali di Giovani Paolo II trattandoli come una pericolosa manifestazione di proselitismo cattolico.
[Data pubblicazione: 09/09/2005]
L’Europa si muove per porre fine alla persecuzione dei cattolici
di Giulio Ferrari
Che appartenga alla Chiesa clandestina o a quella “patriottica”, riconosciuta e controllata da Pechino, qualsiasi cinese può pagare a caro prezzo la sua fede cattolica e soprattutto la fedeltà al Papa. E’ per questo che ieri Benedetto XVI non ha fatto distinzioni nel nominare 4 vescovi cinesi quali membri della XI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, che si terrà in Vaticano nel prossimo mese di ottobre, tre dei quali appartengono appunto alla Chiesa “ammessa”. Ed è sempre a causa di questa persecuzione che proprio ieri, con singolare tempismo rispetto alla decisione della Santa Sede, il parlamento europeo ha approvato una mozione sulle discriminazioni e la repressione religiosa in Cina.
In particolare, la mozione evidenzia il “lungo periodo” di oppressione subito dai fedeli cattolici costretti alla clandestinità. L’Europarlamento ha quindi fatto appello alla Commissione e al Consiglio Ue, così come agli Stati membri, perchè sollevino “la questione delle persecuzioni dei cristiani cinesi” nei loro contatti con il governo di Pechino. Nella mozione si reclamano inoltre informazioni su tanti vescovi e sacerdoti cinesi “desaparecidos”.
Se il Parlamento europeo ha fatto niente più del suo dovere, la decisione del Pontefice invece potrebbe apparire persino scandalosa a chi è ignaro della situazione cinese. Possibile che Papa Ratzinger abbia interpellato dei prelati di “osservanza governativa” mentre in Cina milioni di fedeli testimoniano la loro lealtà a Roma e al Papato con la rischiosa appartenenza alla “Chiesa sotterranea”? Obiezione legittima, se non fosse che negli ultimi tempi la situazione delle “Chiese” cinesi è cambiata molto rispetto a quella pensata da Mao-Tse-Tung negli anni Cinquanta. Il sanguinario dittatore comunista eliminò materialmente, con un gran numero di cristiani, anche la stessa struttura cattolica e per impedire che rinascesse nelle catacombe ne inventò un’altra, sottomessa al partito. Mao non aveva fatto i conti con quello che Pio IX definì “marchio distintivo” della fede cattolica: il dono sovrannaturale di rinvigorire nella persecuzione.
Per oltre mezzo secolo i credenti cinesi hanno continuato a professare la dottrina di Cristo e praticare la religione nascostamente, incuranti delle eliminazioni e delle deportazioni in carceri, manicomi e lager. Alla fine, sono diventati un esempio anche per i membri della cosiddetta Chiesa cattolica patriottica. Persino i vescovi “ufficiali”, nominati da Pechino in virtù della loro fedeltà al governo, sono stati conquistati dalla fede testimoniata sino al martirio. Oggi Asia News, l’agenzia missionaria diretta da padre Bernardo Cervellera, calcola che l’85% dei vescovi “patriottici” sia segretamente riconciliato con Roma. Smacco clamoroso per quel che resta del Partito comunista cinese, ora riconvertito a uno sfrenato liberismo di stampo ottocentesco, che non può certo “scomunicare” pubblicamente i suoi vescovi accusandoli di essere troppo cattolici, poichè comprensibilmente rischierebbe di far perdere ogni residua credibilità alla Chiesa ufficiale. Restano le maniere forti, che Pechino riesce a impiegare senza troppo chiasso, visto che ha il controllo assoluto di tutti gli organi di informazione.
Capita così che i vescovi patriottici “infedeli” finiscano per condividere la sorte di quelli clandestini, scomparendo improvvisamente nel nulla anche per qualche decina d’anni. E non si tratta di esilio dorato, ma di ricoveri coatti in istituti sanitari dove gli sventurati vengono sottoposti a lavaggio del cervello e torture psichiche, oppure del carcere duro dove, per le condizioni disumane di detenzione, tutti contraggono gravi malattie. E’ questo il caso di alcuni dei vescovi cinesi che, seppur formalmente patriottici, Benedetto XVI vorrebbe al prossimo Sinodo sull’Eucarestia. Fra i 36 prelati nominati dal Papa vi sono infatti mons. Antonio Li Duan, arcivescovo di Xian e mons. Luigi Jin Luxian, vescovo di Shanghai, entrambi riconosciuti dal governo; mons. Giuseppe Wei Jingyi, vescovo di Qiqihar, non riconosciuto dal governo e mons. Luca Li Jingfeng, vescovo di Fengxiang (Shaanxi), riconosciuto dal governo solo poco tempo fa. Ad accomunarli non è soltanto il gradimento di Benedetto XVI, segno che i “patriottici” hanno avuto modo di chiarire la loro posizione con la Santa Sede e tornare nella comunione con Roma, ma anche il gran merito della persecuzione sofferta per amore della Chiesa. Mons. Li Duan, che viene definito dall’agenzia Asia News “grande campione di fede”, è nato nel ’27 e ha conosciuto a più riprese le carceri cinese: dal ’54 al ’57, dal ’58 al ’60, dal ’66 al ’79. Pur malato di cancro continua con l’abnegazione di sempre la propria missione pastorale.
Mons. Aloysius Jin Luxian, nato nel 1916, altro vescovo “governativo” che ha chiesto e ottenuto la comunione con Roma, ha passato 18 anni in carcere e 9 al confino in campi di rieducazione. Per i prelati della Chiesa patriottica che sgarrano, Pechino ha in serbo un trattamento del tutto simile a quello dei vescovi e dei preti clandestini. Quello, ad esempio, riservato a mons. Giuseppe Wei Jingyi, un’altro dei presuli cinesi che Benedetto XVI ha chiamato al Sinodo. Mons. Jingyi, che ha 47 anni, è stato messo ai lavori forzati dall’’87 all’’89 e dal ’90 al ’92.
Benedetto XVI ora confida che il governo cinese consenta ai quattro vescovi di partecipare al Sinodo. Sarebbe un gesto importante di apertura di forte impatto mediatico per l’opinione pubblica mondiale ma è ancora tutto da vedere se il miglioramento delle relazioni col Vaticano comporterà un’attenuazione della repressione anticattolica in Cina. Per il momento la vita religiosa dei cristiani resta segnata dalle “retate” della polizia politica, dalle detenzioni senza processo e dalle sparizioni. La lista dei vescovi scomparsi pubblicata in questa pagina, divulgata nell’ambito di una iniziativa di solidarietà da Asia News, è affiancata da quella non meno lunga dei prelati incarcerati o sottoposti a lavaggio del cervello.
Analoga sorte riguarda i cinesi finiti in un lungo elenco di semplici preti e fedeli. Nella Cina magnificata da Romano Prodi e Luca Cordero di Montezemolo si può finire come padre Lu Xiaozhou, della diocesi di Wenzhou, da anni dietro le sbarre perchè sorpreso a dare l’estrema unzione a un moribondo. O come tre sacerdoti della diocesi di Baoding, tutti condannati ai lavori forzati per aver celebrato le funzioni pasquali. O, ancora, come una donna della diocesi di Fhuzhou, arrestata per aver fatto la cuoca nel seminario sotterraneo di Ch’angle. Al di là delle manfrine diplomatiche per incantare l’Occidente, questa è la vera Cina. E anche Benedetto XVI dovrà fare i conti con il Paese che ha snobbato i funerali di Giovani Paolo II trattandoli come una pericolosa manifestazione di proselitismo cattolico.
[Data pubblicazione: 09/09/2005]