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View Full Version : Guerra dei campi, scacco alla malavita


Adric
05-09-2005, 12:58
Mercoledì 31 Agosto 2005

Guerra dei campi, scacco alla malavita

Il valore dell’uva imposto da mediatori poco puliti. «L’accordo li taglierà fuori»

dal nostro inviato
OLIVIERO LA STELLA

CERIGNOLA (Foggia) - Alle spalle di Matteo Valentino, sindaco di Cerignola, c'è un quadro che raffigura Giuseppe Di Vittorio. Il grande dirigente sindacale appare, in questo ritratto a carboncino, particolarmente corrucciato. E viene da pensare che lo sia per i fatti gravi che avvengono nel suo paese natale.
Di fronte a Di Vittorio il sindaco illustra l'accordo che, nella notte di ieri l'altro, ha consentito il ritorno alla normalità a Cerignola, Canosa, Barletta e in altri comuni del Basso Tavoliere. In seguito all'intesa, siglata a Bari dal ministro delle Politiche agricole Gianni Alemanno, dal presidente della Regione Nichi Vendola e dalle organizzazioni dei produttori di uva, sono stati abbandonati i blocchi stradali e ferroviari che per 72 ore avevano separato la Puglia dal resto dell'Italia. Drammatico, come è noto, il bilancio di questa nuova "guerra dell'uva". Un piccolo agricoltore di Canosa è morto, investito da un furgone che tentava di forzare il blocco sulla provinciale 231. L'investitore - arrestato con l'imputazione di omicidio colposo - è un muratore che ogni domenica sera, insieme con alcuni compagni, è costretto a mettersi in viaggio per andare a lavorare al Nord. Gravemente feriti un altro manifestante e un altro muratore, a malapena sottratto al linciaggio dalle forze dell'ordine. Povera gente da una parte e dall'altra della barricata.
Nel corso dei disordini, un episodio ha particolarmente colpito per il suo valore simbolico: l'assalto alla Camera del lavoro della Cgil. I vandali non hanno portato via nulla se non le bandiere rosse del sindacato dei lavoratori agricoli, che sventolano a Cerignola nelle ancora imponenti manifestazioni del 1° maggio e del 3 novembre. Ricorrenza, quest'ultima, della morte di Di Vittorio, avvenuta nel 1957. Il furto delle bandiere ha il sapore di uno sfregio e di una intimidazione. Ma è un atto che si suppone ben poco abbia a che fare con la protesta per il prezzo dell'uva. Nicola Affatato, segretario generale della Cgil di Foggia, lo mette in relazione con una vicenda sulla quale la magistratura sta indagando: una truffa all'Inps «di dimensioni assai preoccupanti». «Indennità di disoccupazione e altri contributi - spiega - venivano pagati a braccianti inesistenti di aziende fantasma. E la Cgil s'è molto impegnata per il ripristino della legalità».
Anche nella questione dell'uva c'è un aspetto torbido. Il prezzo di mercato, infatti, fino ad oggi è stato determinato dai mediatori, che acquistano dal produttore e rivendono alle aziende di trasformazione. Figure che impongono accordi di cartello e dietro alle quali, talora, c'è la malavita organizzata. Dice il sindaco Valentino: «L'accordo siglato, che crea una relazione diretta fra produttori e trasformatori, rappresenta un tentativo di mettere fuori gioco i mediatori».
E' tuttavia reale la crisi del settore. Alla caduta della domanda si associano gracilità strutturali. I produttori, che sono poi i figli e i nipoti dei braccianti per i quali tanto si spese Di Vittorio, non sono cresciuti quanto richiede oggi il confronto con il mercato globale. Sì, sono riusciti a indossare «il cappotto e il cappello a lobbia», come diceva il sindacalista, sono riusciti a conquistare il loro pezzo di terra (grazie alla riforma agraria del Cinquanta); ma le aziende restano troppo piccole (fra i 7 e i 9 ettari) e in loro continua ad albergare una diffusa diffidenza verso ogni forma di cooperazione.
Ed inoltre: «Manca in queste zone - aggiunge Affatato - un'industria della trasformazione dei prodotti agricoli. E permane da parte dei coltivatori una resistenza a diversificarsi, a puntare sulla qualità. Certo, gli agricoltori non possono fare tutto da soli. Occorre una politica di investimenti, a livello regionale e nazionale. Senza la quale le tensioni sono destinate a riprodursi».
Già ora le tensioni non paiono del tutto sopite. Tant'è che il sindaco di Cerignola non si sbilancia sulla solidità della tregua: «Questo - afferma - è un buon accordo, il massimo che nell'attuale congiuntura si può ottenere. Confido nel senso di responsabilità dei protagonisti della protesta». Alle sue spalle Giuseppe Di Vittorio ci appare sempre preoccupato.

(Il Messaggero.it)

LittleLux
05-09-2005, 13:09
C'era da immaginarselo che dietro a quotazioni così basse dell'uva, sia da tavola che da vinificazione, pugliese, potesse esserci lo zampino della malavita. D'accordo la crisi che ha colpito tutto il settore, da nord a sud, tuttavia 15/17€ al quintale per l'uva pugliese sono una assoluta stortura rispetto ai 45/60€ che vengono pagati per l'uva del nord (sino a 100€ l'anno scorso). E non si può dire nemmeno che dietro a quotazioni così basse ci sono differenti rese qualitative a discapito del sud, in quanto sappiamo benissimo che le uve pugliesi, in uquanto a qualità, non sono seconde a nessun'altra.

Adric
05-09-2005, 20:01
ho trovato un altro articolo inerente del giorno prima.

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Martedì 30 Agosto 2005

Dal campo al piatto prezzi alle stelle

di PIERO CACCIARELLI

ROMA - La dura protesta degli agricoltori pugliesi trova origine in una crisi produttiva sempre più profonda, che ha cause vecchie e nuove. Tutti i coltivatori italiani sono fortemente danneggiati da una catena distributiva troppo lunga, in cui il loro peso è quasi trascurabile. Una ricerca della Coldiretti dimostra che su circa 500 euro al mese spesi da una famiglia media per alimentari e bevande, appena una novantina (meno del 20%) vanno alle imprese agricole. Il resto lo assorbono l’industria, il commercio e i servizi connessi. Sul prezzo finale di un chilo di pasta, il grano influisce appena per il 7%, mentre in un barattolo di passata il pomodoro vale nemmeno il 10%. Neanche i fiori fanno meglio: sul costo di un mazzo in negozio, la quota che va al coltivatore arriva a malapena a un decimo. Per effetto di distorsioni che finora nessuno è riuscito ad eliminare, nel percorso dal campo al piatto il cibo rincara fino a cinque volte. E se per la carne bovina il costo dell’animale incide per il 40% su quanto paga il consumatore, l’uva e le olive, prodotti tipici del Mezzogiorno (in particolare della Puglia), entrano solo per il 25% e per il 33% nel prezzo finale del vino e dell’olio. Chi compra un litro di latte fresco sborsa esattamente il quadruplo di quanto incassa il proprietario della stalla.
Nell’ultimo anno i problemi del Sud si sono aggravati a causa della concorrenza straniera e dei prezzi alla produzione, che invece di adeguarsi almeno al carovita non di rado sono addirittura diminuiti. Le albicocche accusano un calo di oltre il 70% e il raccolto delle patate è stato autolimitato al 60% a causa dei margini di guadagno troppo esigui. Il grano duro viene quotato al massimo 7 centesimi al chilo. In Puglia l’allarme si concentra sulle eccessive giacenze di vino e sulla crisi che ha investito il pomodoro e la bieticoltura. Si sentono molto sia l’invasione di prodotti esteri, dalla Spagna al Nordafrica, sia il crollo dei consumi alimentari: meno 10% in quattro anni.
Le organizzazioni degli agricoltori se la prendono anche con la politica agricola comunitaria (Pac), accusando la Ue di aver stanziato fondi insufficienti per sostenere le coltivazioni di qualità, che potrebbero fronteggiare con successo la concorrenza straniera. Il morso della crisi lascia il segno: tra 2004 e 2005 oltre 750 imprese agricole meridionali hanno dovuto cessare l’attività. Come uscire dal tunnel? La Coldiretti chiede di riequilibrare le quote di guadagno all’interno della filiera distributiva. Bisogna scongiurare che i ricavi siano inferiori ai costi, come troppo spesso accade ora. Poi vanno agevolate le vendite dirette, o quasi, dai produttori ai consumatori, con banchi nei supermercati riservati ai prodotti freschi locali.
Importante sarebbe generalizzare l’uso delle etichette che obbligano a precisare l’origine del prodotto. Per il pomodoro, in tal modo, si arginerebbe l’invasione dei pelati made in China. Un’altra organizzazione di categoria, la Cna, insiste perché venga adottato il doppio prezzo (al consumo e alla produzione), unico rimedio per «svergognare» gli speculatori. In ultimo, è sempre più avvertita l’esigenza di spingere sul pedale della qualità, capace di premiare economicamente una rete di piccole aziende e di artigiani, ma anche gli agricoltori che forniscono la materia prima. In Puglia, terra d’elezione del grano duro, alcuni pastai mettono sul mercato linguine e penne di élite, adoperando le vecchie trafile in bronzo e adottando un’essiccazione che si protrae per 20-25 ore. Il procedimento deve essere garantito sull’etichetta, pena la frode, ma il guadagno è sostanzioso, visto che un chilo di pasta industriale costa 1 euro e uno di fusilli ”selezionati” tocca i 12. Questo è il modo migliore per battere gli alimenti a prezzi stracciati importati dall’Asia e dall’Est europeo.

(Il Messaggero.it)