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View Full Version : Africa Occidentale (Sahel), ONU e USA: il punto della situazione


Adric
31-08-2005, 16:45
posto un articolo di due mesi fa su una parte del mondo di cui i media italiani non si occupano mai, il Sahel.

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USA e Plan Sahel, prove generali di terrorismo

Scritto da Matteo Fagotto
martedì, 14 giugno 2005 11:19

L'attacco salafita di una settimana fa alla base militare mauritana di Limgheiti, che ha provocato la morte di 15 soldati, ha riportato d'attualità il problema terrorismo nella regione del Sahel a due anni dall'inizio della PSI (Pan Sahel Initiative), un progetto finanziato dagli USA mirante a rafforzare le frontiere ed a combattere i gruppi armati islamici in Mauritania, Niger, Chad e Mali. Ma la minaccia terroristica nella regione è veramente reale?

L'attacco di domenica scorsa, rivendicato dall'algerino GSPC (Gruppo Salafita per la Preghiera ed il Combattimento), sembrerebbe confermare questa ipotesi. La Mauritania infatti finora non era mai stata teatro di attacchi terroristici, ed il fatto che un gruppo armato operante prevalentemente in Algeria abbia allargato il proprio raggio d'azione ai paesi limitrofi dovrebbe destare preoccupazioni sulla stabilità della regione.

Stabilità a cui gli USA tengono molto, per diverse ragioni: la prima è che immediatamente sotto il Sahel vi sono i ricchissimi pozzi petroliferi del Golfo di Guinea, al cui sfruttamento le multinazionali americane stanno partecipando da tempo, e da cui gli Stati Uniti dovrebbero trarre il 25% del proprio fabbisogno energetico entro il 2015.

Una zona di importanza strategica fondamentale per Washington, che da tempo si sta adoperando per "pacificare" la regione in diversi modi: a volte attraverso la diplomazia ed i colloqui di pace (è il caso dell'Angola, da poco uscita da una lunga e sanguinosa guerra civile), oppure cooperando con le locali forze dell'ordine per mantenere il controllo delle zone petrolifere, come in Nigeria, fino ad arrivare a sostenere regimi dittatoriali scomodi ma estremamente utili come quello di Teodoro Obiang Nguema in Guinea Equatoriale.

La "messa in sicurezza" del Sahel ha quindi un immediato riscontro nella protezione del Golfo di Guinea, ma non solo. Bisogna contare che anche nel Sahel, in primis in Mauritania e Chad, si sono recentemente scoperti pozzi petroliferi che hanno fatto aumentare ancor di più le quotazioni della regione.

La PSI

Chiusa tra il Nordafrica a settentrione e la ricca regione del Golfo di Guinea a sud, la fascia del Sahel va dall'Oceano Atlantico fino al centro del continente africano, interessando in particolare quattro paesi: Mauritania, Niger, Mali e Chad.

http://www.warnews.it/images/content/cartine/Sahel_map_CIA.jpg
Fonte: CIA World Factbook

Dalla fine del 2002 questa lunga striscia in prevalenza desertica ha attirato sempre più le attenzioni degli strateghi USA, per una serie di fattori che a Washington hanno destato estrema preoccupazione: prima di tutto la ritrovata vitalita del GSPC, formazione islamica armata affiliata ad al-Qaeda e staccatasi dal GIA (Gruppo Islamico Armato) algerino a fine anni 90, che ha allargato il proprio raggio d'azione anche ai paesi vicini.

Ma sono soprattutto le caratteristiche geografiche dei quattro paesi a preoccupare Washington. L'estendersi del deserto e la difficoltà di monitorare con efficacia le frontiere ha infatti favorito la fioritura di molti traffici illeciti nel Sahel: dal transito di beni di contrabbando, da cui proprio il GSPC trarrebbe i maggiori benefici, al traffico illegale di immigrati diretti in Europa fino al commercio di armi.

Quanto basta perché a Washington si decidesse l'avvio della PSI, mirante proprio ad addestrare le forze di sicurezza dei quattro paesi per garantire un maggior controllo di territorio e frontiere e una forza di reazione rapida in caso di minaccia terroristica o attacco da parte di un qualsiasi gruppo armato.

Il budget iniziale stanziato dal Congresso per il progetto è di poco più di 6 milioni di dollari, impiegati in larga parte per garantire l'addestramento rapido di una serie di battaglioni scelti e per fornire agli eserciti dei quattro paesi mezzi ed equipaggiamento adeguati.

La missione, coordinata dal comando americano di stanza a Stoccarda (EUCOM) sotto la direzione del generale Wald, ha già dato alcuni frutti, se si considerano le operazioni congiunte lanciate da eserciti locali e marines americani contro alcune basi del GSPC l'anno scorso.

La minaccia terroristica

Ma quanto è grande al momento la minaccia terroristica in Sahel? Secondo molti consiglieri militari europei e l'International Crisis Group, che ha recentemente pubblicato un rapporto sull'argomento, gli USA la stanno sovrastimando.

I principali problemi che devono affrontare i succitati paesi sono quelli contro cui combatte la maggior parte degli stati africani: povertà diffusa innanzitutto, che influenza ovviamente tutta una serie di aspetti quali l'aspettativa di vita, l'istruzione, la salute.

Nonostante l'arrivo della manna petrolifera in Mauritania e Chad, e nonostante il ferreo controllo della Banca Mondiale sui proventi dell'oro nero che arrivano a N'Djamena, attualmente la corruzione di governi e alte sfere militari rappresenta una minaccia molto più seria allo sviluppo e alla stabilità di questi regimi.

Vi sono certamente alcuni aspetti preoccupanti, come l'attività del GSPC e la sua affiliazione ad al-Qaeda, anche se finora questa strana alleanza non sembra aver portato un cambiamento nell'attività del GSPC o un aumento sostanziale della sua capacità operativa. Il fatto che il gruppo si sia allargato anche ad altri paesi dipende più dall'efficacia delle azioni delle forze di sicurezza algerine che da un disegno prestabilito.

Né l'attività del GSPC può influenzare più di tanto la stabilità dei paesi del Sahel. I tre colpi di stato sventati in Mauritania nell'ultimo anno affondano le proprie radici più che altro nell'insoddisfazione delle Forze Armate e delle elite escluse dal potere dalla politica rigidamente "familiare" del presidente Ould Taya, oltre che dalla pesante discriminazione razziale a cui sono sottoposti i neri africani nel paese.

Una politica cominciata dal predecessore dell'attuale presidente, e che per alcuni anni ha portato i neri ad essere esclusi da qualsiasi impiego nelle forze di sicurezza, oltre che a feroci persecuzioni che periodicamente si trasformano in veri e propri pogrom.

Vero è che Ould Taya è riuscito ad inimicarsi anche buona parte degli islamici, sia per la sua politica estera spregiudicata, che l'ha visto spostarsi da una stretta allenza con Saddam Hussein all'amicizia attuale con USA ed Israele, sia per le persecuzioni di cui sono vittime gli islamici stessi.

Certo, l'attentato di domenica scorsa, il primo di questo tipo in Mauritania, potrebbe essere un campanello d'allarme. Ma non più grave degli altri, visto che il regime mauritano è arrivato ad un tale livello di isolamento dalla società da dover temere tutto e tutti per la propria sopravvivenza.


I problemi del Sahel

Se al momento non sembrano esserci pericoli di una vera e propria attività terroristica nel Sahel, vi sono alcune precondizioni che potrebbero far degenerare la situazione in futuro.

Per quanto riguarda la Mauritania, come abbiamo visto, la principale incognita risiede in un regime non sorretto da un'ampia base sociale, che sopravvive grazie alla brutale repressione del dissenso e agli aiuti militari degli alleati.

Negli altri tre paesi la situazione è migliore: il Niger può vantare una stabilità interna molto maggiore, sancita dalle recenti elezioni che hanno confermato Mamadou Tandja alla presidenza. La maggiore incongnita del paese riguarda però la sfera economica, visto che il Niger è uno dei paesi più poveri al mondo.

Le proteste di questa primavera a Niamey, dove migliaia di manifestanti hanno bloccato per giorni la capitale per protestare contro l'aumento dei prezzi per i beni di prima necessità, mostra come la situazione economica sia molto delicata. Sebbene ci sia la possibiltà di scoprire giacimenti petroliferi nel nord del paese, al momento non sembrano esserci significative prospettive di sviluppo nel paese.

Assieme al Mali poi il Niger porta in eredità la questione delle ribellioni Tuareg degli anni 90, ribellioni che hanno lasciato pesanti strascichi nei due paesi. Innanzitutto il problema delle armi, che nelle ex-zone di guerra proliferano, oltre che le questioni che hanno portato allo scoppio dei conflitti e che in buona parte i due governi hanno tralasciato di affrontare.

Proprio per questa regione i Tuareg della regione continuano a lamentarsi di essere trascurati dalle autorità. Eventuali gruppi terroristici potrebbero trovare in queste condizioni un fertile sottobosco per arruolare i propri effettivi, se si considera anche la recente conversione di buona parte dei Tuareg all'Islam, soprattutto in Mali.

Il Chad è sicuramente il paese che, tra i quattro, può vantare la maggiore stabilità interna, grazie anche alla politica di stretto laicismo seguita dalle autorità ereditata del passato regime coloniale francese. I pericoli maggiori vengono dall'esterno, ed in particolare dal Darfur, dove una situazione altamente esplosiva potrebbe alterare gli equilibri interni del Chad.

Una politica di sviluppo

In un quadro del genere, ovvio che le maggiori prospettive per il terrorismo siano date proprio dall'instabilità interna di qusti paesi: lo scarso controllo del territorio e delle proprie frontiere, ma anche le difficili prospettive di sviluppo economico, possono favorire i gruppi terroristici sia a livello operativo che di reclutamento della popolazione locale.

Non è un caso che spesso i gruppi religiosi, islamici e non, abbiano fatto proseliti proprio tra gli strati della popolazione maggiormente trascurati dalle autorità, come i Tuareg o gli strati che occupano gli ultimi posti della scala sociale.

Inevitabilmente quindi un approccio serio al problema dovrebbe mettere in conto questi fattori, e operare non solo a livello militare ma anche economico e sociale, stanziando aiuti e avviando progetti di sviluppo che possano garantire un futuro alla popolazione locale allontanandola dalle "sirene" del terrorismo.

Una visione condivisa degli stessi USA, che nei prossimi anni dovrebbero trasformare la PSI nella TSCTI (Trans-Saharian Counter Terrorism Initiative): un programma più ampio, che dovrebbe coinvolgere anche Senegal e Algeria, ma che soprattutto accanto ai programmi per la messa in sicurezza di territorio e frontiere contemplerebbe tra le proprie attività anche l'assistenza allo sviluppo.

Qualsiasi politica che non tenesse in conto questi problemi andrebbe incontro ad un sicuro fallimento, visto che si limiterebbe a fornire soldi e armi per mantenere in piedi regimi non popolari al fine di controllare il territorio, senza però affrontare i reali problemi che sono alla base dell'instabilità nella regione.

Senza contare che appoggiarsi a regimi dittatoriali e poco popolari (è il caso della Mauritania per esempio) o fragili economicamente (soprattutto il Niger) è altamente rischioso: le autorità di questi paesi potrebbero essere portate ad esagerare consapevolmente il rischio terrorismo, per garantirsi un costante flusso di dollari che possa garantire la propria sopravvivenza.

Una politica che sembra sia già stata adottata, in particolare dal presidente mauritano Ould Taya, e che drena risorse per necessità secondarie impedendo quindi la soluzione dei principali problemi.

La situazione attuale nei quattro paesi sopra analizzati richiederebbe una quantità di aiuti consistenti per l'avvio di programmi di sviluppo e per la costruzione di strutture (soprattutto sanitarie) indispensabili, mentre i programmi di assistenza militare dovrebbero avere un ruolo secondario. Un programma inevitabilmente a lungo termine, ma che sembra essere l'unico in grado di risolvere i problemi strutturali del Sahel garantendone quindi di conseguenza la sicurezza.

Resta da vedere se l'amministrazione americana avrà la pazienza di impegnarsi in un tale progetto, che dovrebbe non solo garantire un costante flusso di aiuti economici nel breve periodo, ma che dovrebbe anche controllare la loro corretta destinazione per evitare che la piaga della corruzione vanifichi tutto. La speranza è che la "sindrome da 11 settembre" non ottenebri la visione alle autorità USA.

Matteo Fagotto (WarNews.it)

madaboutpc
01-09-2005, 21:08
Complimenti per l'articolo e per averlo pubblicato!
Ottimo resoconto della situazione di una zona e di un problema che molti (tra cui io) non ricordano

Sursit
02-09-2005, 13:12
Resta da vedere se l'amministrazione americana avrà la pazienza di impegnarsi in un tale progetto, che dovrebbe non solo garantire un costante flusso di aiuti economici nel breve periodo, ma che dovrebbe anche controllare la loro corretta destinazione per evitare che la piaga della corruzione vanifichi tutto. La speranza è che la "sindrome da 11 settembre" non ottenebri la visione alle autorità USA.

Matteo Fagotto (WarNews.it)
Non ti preoccupare, le "sindrome da 11 settembre" è solo un'invenzione per distrarre le masse su ciò che veramente viene fatto perseguito. Uno specchietto delle allodole.
Intanto complimenti per l'articolo, davvero interessante.
Non si sentono molte notizie riguardo a quelle regioni, ogni tanto esce qualcosa collegato alla sharia in vigore in alcune zone ( vedi vicende Amina..).
Che quelle siano le prossime frontiere del terrorismo islamico, bè lo saranno senz'altro. Vedremo come andrà a finire.

Adric
20-10-2005, 08:06
«In Nord Africa due milioni di diseredati

da l'Unità online del 10 ottobre 2005
10 ottobre 2005

«I disperati di Melilla sono solo l’avanguardia sofferente, senza speranza, dei due milioni di diseredati del Nord Africa e dell’Africa subsahariana che premono ai “cancelli” dell’Europa. Un fenomeno destinato a crescere nei prossimi mesi». A parlare è Angelo Del Boca, uno dei più autorevoli storici del «pianeta Africa». «Alla base di questo fenomeno destinato a crescere nei prossimi mesi - rileva lo studioso - vi sono anche ragioni politiche che investono i diversi Paesi nordafricani e dell’Africa subsahariana. E c’è anche la bancarotta sociale delle élite al potere che hanno dilapidato ricchezze ingrossando le file dell’“esercito” dei senza futuro».

Da cosa nasce la tragedia degli immigranti che si sta consumando a Melilla?

«Innanzitutto va detto che non è un fenomeno recentissimo. La rivista L’Intelligent-Jeune Afrique ha dedicato qualche mese fa un lungo articolo proprio a questa avanzata, soprattutto dei marocchini ma anche dei senegalesi, maghrebini e altri, verso Tetuan e poi lo Stretto di Gibilterra. E forniva anche cifre e foto molto tristi di una serie di cadaveri sulla spiaggia sia della parte africana che di quella di Gibilterra. La spinta maggiore è spiegabile con il fatto che gli immigrati clandestini che vengono rispediti in Libia una volta sbarcati a Lampedusa, poi sono rinchiusi in campi di concentramento non molto diversi dai lager nazisti . E questo trattamento barbaro ha fatto dirottare questa fiumana verso altre sponde. Una fiumana immensa: sono almeno due milioni gli africani che premono per arrivare in Europa. Partono da lontano, addirittura dal Kenya, dalla Somalia, dall’Eritrea, e dall’altra parte dal Golfo di Guinea. Ceuta e Melilla sono in un certo senso Pantelleria e Lampedusa italiane: sono due maniere per entrare; perché quando arrivano a Ceuta poi diviene più facile entrare in Europa, approfittando di connivenze o finendo nei tentacoli della malavita che lucra sul traffico dei clandestini. Il fenomeno avrà una virulenza notevole nei prossimi mesi, e questo per motivi molto precisi...».

Quali sono questi motivi?

«Motivi politici. Intanto c’è stato di recente un golpe in Mauritania e vi sono molte persone che non sono contente del nuovo regime. Vicino c’è il Senegal che ha dei problemi non indifferenti anch’essi di natura politica. In Marocco, anche se il nuovo re Maometto VI ha dimostrato in alcuni settori una certa modernità (ad esempio per ciò che concerne i diritti della donna), c’è una povertà enorme. Nell’ambito del Maghreb i marocchini sono quelli che stanno peggio, anche se il Paese ha notevoli ricchezze che, però, o non sono sfruttate o sfruttate solo dai grandi latifondisti, il primo dei quali è proprio il re, che ha proprietà terriere immense».

Di fronte a questa umanità disperata che preme ai nostri cancelli, come reagisce l’Europa?

«Reagisce male. Con un’aggressività difensiva. Pensiamo all’Italia: gestire questo flusso non è facile. Di certo non c’è una preparazione adeguata e altrettanto certamente non è con una legge quale la Bossi-Fini che ci attrezzeremo adeguatamente a fronteggiare questa situazione che sarà sempre più strutturale in società multietniche. Si è detto: lavoriamo per costruire nei Paesi di provenienza opportunità di lavoro e di sviluppo. Niente da eccepire, se non fosse che in diversi casi questo assunto si è scontrato con un limite di fondo...».

Quale?

«Aver accettato di sostenere leadership al potere che si erano rese protagoniste di una bancarotta sociale e politica che aveva a sua volta ingrossato le fila dei disperati di Lampedusa o di Melilla. E come se lo spauracchio del fondamentalismo islamico abbia messo in secondo piano il fenomeno dell’immigrazione e garantito una sorta di “assicurazione politica” per élite che pure si erano rivelate incapaci a favorire processi di sviluppo e di crescita sociale. Ciò è vero per la Libia, come per la Tunisia e il Marocco e ancor più per l’Algeria che ancora porta i segni di una sanguinosa guerra civile. È come se l’Europa accettasse, sia pur di malavoglia, di farsi carico dell’ondata di immigrati come contropartita al baluardo che queste élite africane farebbero all’islamizzazione fondamentalista. Questo “scambio” non solo non è giusto ma è destinato a fallire miseramente. La cooperazione va rafforzata ma essa deve fondarsi sul rispetto di standard minimi di democrazia e di un uso socialmente corretto dei fondi ricevuti».

Ewigen
15-11-2005, 19:59
AFRICA 15/11/2005 15.24
PRIMA RIUNIONE REGIONALE ONU SU CRISI ALIMENTARE IN SAHEL


(Misna) Si è aperta oggi a Dakar, capitale del Senegal, la prima riunione regionale delle Nazioni Unite dedicata alla sicurezza alimentare nei paesi del Sahel; alla conferenza partecipano i rappresentanti delle agenzie e strutture Onu dedicate allo sviluppo e all’emergenza. Nei nove paesi del Sahel (Burkina Faso, Capo Verde, Chad, Gambia, Guinea Bissau, mali, Mauritania, Niger e Senegal) 68 milioni di persone sono ciclicamente minacciate dalla carestia, un problema andato aggravandosi negli ultimi 30 anni in cui è cresciuta la malnutrizione tra la popolazione, soprattutto infantile, con serie conseguenze sulla salute. “Certamente fattori come la siccità e le invasioni di cavallette hanno contribuito a queste crisi, ma ci sono anche fattori strutturali e culturali” ha detto Hervé Ludovic de Lys, direttore della sezione dell’Africa occidentale dell’Ocha, l’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento delle operazioni umanitarie. “Durante questa conferenza insieme all’Undp cercheremo di affrontare nella discussione questi fattori strutturali, con lo scopo di trovare soluzioni che releghino la fame a un problema del passato” ha concluso de Lys.