Sony Music e Spotify: un contratto svela gli altarini dello streaming musicale

Sony Music e Spotify: un contratto svela gli altarini dello streaming musicale

Emerge un contratto tra le due aziende, che risale a gennaio 2011, che permette di capire più a fondo quali siano i meccanismi alle spalle degli accordi tra etichette musicali e servizi di streaming

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Spotify
 

Introduzione

Il settore della musica digitale sta vedendo un certo fervore da qualche mese: nuovi servizi di streaming che si affacciano sul mercato, artisti che esprimono disappunto sul modello di business e sui compensi ricevuti, etichette che spingono sempre più verso una fruizione paid-only e lontana da modelli gratuiti supportati da pubblicità.

Tra gli esempi più significativi dell'ultimo anno si può citare il lancio di Tidal, la prima piattaforma di streaming di diretta proprietà di artisti (tra i quali figurano Jay Z, Beyoncé, Rihanna, Kanye West, Nicki Minaj, Jack White, Madonna, Daft Punk, Arcade Fire, Usher, Alicia Keys, Chris Martin, Calvin Harris, deadmau5, Jason Aldeane J. Cole), oppure la faraonica acquisizione di Beats da parte di Apple per preparare una nuova offerta nel campo della musica digitale che vedrà la luce verosimilmente nei prossimi mesi. Insomma, un settore che sta cercando di ridisegnare se stesso, a fronte dei nuovi scenari innescati dall'ampia diffusione della tecnologia e dal diffondersi di modi e abitudini d'uso del consumatore ben differenti rispetto al passato.

In tutto ciò, come accennato poco sopra, gli artisti non nascondono un certo malumore: già nel corso del 2013 il frontman dei Radiohead, Thom Yorke, aveva rimosso dal catalogo di Spotify tutte le sue opere da solista. Una strada che è stata seguita recentemente anche dalla popstar Taylor Swift che, pur a fronte di numeri da capogiro (16 milioni di riproduzioni a ottobre 2014) per quanto riguarda la fruizione dei suoi brani sul servizio di streaming, lo scorso novembre ha annunciato la rimozione di tutte le proprie opere dal catalogo di Spotify.


Talyor Swift, da novembre 2014 la popstar ha ritirato tutti i suoi brani da Spotify

In entrambi i casi (e in numerose altri che hanno visto protagonisti svariati artisti più o meno famosi) l'accusa è la medesima: nelle tasche degli artisti i compensi non arrivano, o arrivano in misura ridotta. Manca, insomma, trasparenza. Dove stia la verità e la ragione è difficile da dire, specie in vicende dove mancano numerosi elementi che permetterebbero di costruire un giudizio imparziale.

Il sito statunitense The Verge è però entrato in possesso di un documento che può aiutare a fare un po' più luce sulla situazione: si tratta del contratto stipulato tra Sony Music Entertainment e Spotify per la concessione della licenza, a quest'ultimo, di poter utilizzare il catalogo di Sony Music.

Si tratta di un contratto che, come molti altri della stessa risma, è rimasto coperto da clausole di riservatezza stipulate tra le due parti, motivo per il quale fino ad ora non è mai stato possibile riuscire a delineare quali meccanismi legassero le etichette e i servizi di streaming e dove, in ultima analisi, finissero i soldi sborsati dagli utenti. Il contratto risale al mese di gennaio 2011, ovvero poco prima del debutto di Spotify negli USA.

Un accordo della durata di due anni, con un'opzione esercitabile da Sony Music per estendere il contratto per un terzo anno: il contratto è ad oggi scaduto e quindi sarà stato sottoposto ad una rinegoziazione della quale, ovviamente, non è possibile conoscere le condizioni. Ma le informazioni che è possibile recuperare dalla sua lettura permettono di inquadrare in maniera abbastanza chiara quale sia il contesto entro il quale etichette e servizi di streaming, non solamente Sony Music e Spotify, si muovono.

 
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